Sulla percezione dell’investimento obbligazionario a impatto e sul peso dell’engagement per questa asset class si è concentrata la seconda tavola rotonda nell’ambito della FundsPeople Talks sugli ESG.
Per accedere a questo contenuto
Sulla percezione dell’investimento obbligazionario a impatto e sul peso dell’engagement per questa asset class si è concentrata la seconda tavola rotonda nell’ambito della FundsPeople Talks sugli ESG.
Per accedere a questo contenuto
L’obiettivo dell’impact investing è produrre un impatto ambientale o sociale perseguendo, al contempo, ritorni significativi. In ambito obbligazionario questo approccio affronta una serie di limiti, dettati in molti casi dalla scarsa conoscenza dei prodotti da parte dei clienti. Un elemento di discussione importante è poi rappresentato dall’engagement, spesso associato all’investimento a impatto in ambito equity. Ed è appunto sulla percezione dell’investimento obbligazionario a impatto e sul peso dell’engagement per questa asset class che si è concentrata la seconda tavola rotonda all’interno della FundsPeople Talks ESG che si è tenuta a Milano lo scorso 21 marzo e ha visto il confronto tra un gestore specializzato nell'investimento impact e di tre esperti nella selezione dei fondi.
I commenti si riferiscono al contesto del 21 marzo 2023.
Il ragionamento di David Karni, responsabile portafogli d’investimento di BCC Risparmio&Previdenza SGR, prende il via dall’engagement. “L’engagement è un aspetto che fa parte della nostra analisi ESG e, come nel caso degli altri fattori, assegniamo un giudizio sfavorevole ai gestori che con alcune società utilizzano soltanto dati, rating o servizi di proxy voting di provider esterni”. La motivazione? “Come noi dobbiamo fare il nostro lavoro di fund selector, i portfolio manager dovrebbero fare il loro. In altre parole: niente engagement interno, niente ESG, e questo si traduce in un netto punto a sfavore nella nostra due diligence”. L’engagement, insomma, è uno dei modi più incisivi per valutare la coerenza di un fondo, “alcune delle maggiori società di gestione spesso dichiarano di essere green, ma poi utilizzano solo i rating MSCI e non hanno una politica specifica per i fondi ESG”. Karni si focalizza poi sul peso che assume l’impact nella selezione, e afferma come BCC R&P si stia avvicinando a questo segmento “passo dopo passo” con un focus sul Social, “questi prodotti sono stati i primi ad arrivare sul mercato e hanno già un certo track record”. Si conferma poi l’interesse sui green bond, dal momento che “se un’emissione non misura i risultati concreti ottenuti non può ottenere l’etichetta ‘green’”. Qualche riserva emerge tuttavia sul segmento a basse delle emissioni di CO2: “Quali vantaggi può apportare questo tipo di prodotto a un portafoglio che ha già un profilo globale SRI o ESG o, comunque, green? Il vantaggio mi sembra abbastanza evidente nell’area sociale, meno nel segmento delle basse emissioni”.
1/4In Italia, le ancora limitate conoscenze dei clienti sul concetto di “impact investing”, in particolar modo nel fixed income, spiegano in parte la domanda contenuta di queste soluzioni, secondo quanto rileva Roberta Rudelli, head of fund selection, Gruppo UniCredit. A questo si aggiunge la “concorrenza” dei BTP che ora, rispetto al recente passato, offrono rendimenti interessanti agli investitori. “I clienti – afferma l’esperta – tendono a confrontare il rendimento di qualsiasi soluzione obbligazionaria proposta con quello dei titoli di Stato italiani”. Tuttavia l’investimento a impatto assume un ruolo nodale in quanto è “uno dei pochi approcci che consente di verificare concretamente che gli investimenti ESG e green, che gli emittenti dichiarano, abbiano un impatto in campo ambientale o sociale. Quindi, è senz’altro positivo che ci siano opportunità di investimento che generano effetti positivi concreti, ma, spesso, l’investitore finale che, in ultima istanza guarda alla performance, non è disposto a rinunciare a parte del rendimento o ad accettare una durata più lunga degli investimenti necessaria per avere l’impatto positivo”. Rudelli torna poi sul tema dell’engagement, spesso associato più all’ambito azionario “poiché gli azionisti tramite i voti in assemblea possono guidare le scelte aziendali”. In realtà anche gli obbligazionisti possono avere un ruolo attivo interagendo in modo costruttivo con la società pur non avendo alcun diritto di voto. Anzi, afferma Rudelli, “in questo modo è possibile valutare se un fondo sia ESG oppure no: l’attività di engagement consente di capire quali asset manager e quali gestori hanno fatto propri i principi ESG e quali stanno invece cercando di migliorare ulteriormente su questo fronte”.
2/4Anche per Gabriele Montalbetti, fund selector e portfolio manager, Consultinvest SGR, l’approccio ai fondi impact è in fase evolutiva. “Sul mercato esistono già da alcuni anni fondi specializzati in green bond e social bond”, afferma l’esperto pur rilevando, di recente, un ampliamento dell’offerta da parte degli asset manager impegnati a lanciare sul mercato “fondi obbligazionari a impatto che vanno al di là dei soli green bond o social bond e che includono emittenti o emissioni che portano a un miglioramento della sostenibilità”. Uno sviluppo positivo quindi, nonostante nel 2022 questi prodotti siano stati penalizzati “dai rialzi dei tassi e anche dal ‘greenium’, il premio che caratterizza queste obbligazioni rispetto a quelle tradizionali” (che si traduce in un costo in più per l’investitore). Il fund selector nota quindi che queste obbligazioni “in termini di risultati finanziari, partono svantaggiate rispetto a un bond globale tradizionale in quanto in genere hanno rendimenti inferiori e scadenze più lunghe. Tuttavia alcuni asset manager attuano approcci innovativi, e cercano di ‘competere’ con le emissioni tradizionali globali andando a ricercare opportunità di arbitraggio o tipologie di emissione innovative”. In merito al peso dell'engagement nella valutazione di un fondo, Montalbetti spiega che si tratta di “uno dei vari aspetti dell’analisi qualitativa, dove si ricerca una coerenza tra i principi che si dichiara di applicare e le azioni concrete nel rapporto con le società in portafoglio. Se una società di gestione si dichiara molto attenta alla sostenibilità è ragionevole aspettarsi che tutto il processo di engagement sia strutturato e svolto internamente, piuttosto che affidato a un fornitore esterno”.
3/4Al tema dell’engagement si ricollega, Tony Appiah, managing director e client portfolio manager, Nuveen Equities & Fixed Income, Nuveen, che riporta come sia “un elemento molto importante”, in quanto “l’attività degli obbligazionisti è spesso considerata meno incisiva rispetto a quella che possono operare gli azionisti, ma quando un’azienda deve rifinanziare il debito è a noi che si rivolge. Se il suo operato non ci convince, possiamo vendere le sue obbligazioni”. Da qui il contributo “fattivo” dell’asset manager a livello di impegno, anche in ambito obbligazionario: “Non è sempre vero che siamo poco incisivi, anzi, in molti casi possiamo anche avere un grande impatto”. Un limite dell’engagement, secondo Appiah, è da ricercare nella definizione stessa del concetto, che sconta la mancanza di univocità. “Non sempre si distingue il vero engagement da un banale contatto con un emittente. Per parlare di engagement occorre poter indicare un risultato concreto generato da questo contatto. Per molto tempo, poi, gli azionisti hanno considerato l’engagement solo in termini di proxy voting, assumendo essi stessi un approccio molto passivo”.
Appiah torna poi sulla prima “criticità” messa in luce nella tavola rotonda, ossia quella legata alla “competizione” tra obbligazioni a impatto e altri prodotti (come i titoli di Stato) e sottolinea come ci siano “diversi aspetti da considerare”: “Non è necessario sacrificare la performance per avere un impatto o investire nella sostenibilità, ma per riuscirci bisogna avere un posizionamento unico sul mercato”. Il riferimento va all’esperienza maturata sul comparto. “I gestori che hanno appena iniziato a operare in questo settore probabilmente partono dal segmento dei green bond, che è quello più richiesto”, afferma Appiah. “La nostra esperienza include anche i blue bond e va oltre questa categoria di obbligazioni a impatto. Ad esempio, abbiamo strutturato diversi orange bond (obbligazioni con focus sulla gender equality, ndr.)”. In ultima analisi, a fare la differenza è la consapevolezza che il settore dei green bond “è molto affollato” e offre scarse possibilità di generare alfa. “È necessario continuare a innovare e strutturare attentamente le emissioni, assicurando un’adeguata copertura del rischio di credito”, conclude Appiah.
4/4