La crisi post vacanze dei mercati obbligazionari

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Ken Teegardin, Flickr, Creative Commons

Le TIR delle obbligazioni sono aumentate. Da mercoledì scorso, il rendimento delle obbligazioni britanniche a 10 anni è salito di 13 punti base, quello dei bond statunitensi di 10 e quello dei bund tedeschi è passata dal -0,06% allo 0,03%. “Non è molto ma è sufficiente per mettere in allerta gli investitori sui pericoli derivanti da premi di rischio depressi e dalla posizione dominante delle Banche centrali”, afferma Chris Iggo, CIO e responsabile obbligazionario per AXA IM. I danni maggiori sono stati riportati nel Regno Unito – mercato che aveva registrato un comportamento eccezionale dopo la Brexit – nello specifico sulla parte lunga della curva, che si è impennata. Per esempio, i Gilt britannici a 30 anni sono aumentati di 30 punti rispetto ai livelli di inizio mese, mentre le obbligazioni della maggior parte dei settori hanno registrato evoluzioni negative nei prezzi. “Sono movimenti che non dovrebbero sorprenderci viste le attuali valutazioni e la loro dipendenza dalle politiche straordinarie che stanno seguento le Banche centrali”.

In generale, l’aumento dell’incertezza sul programma di alleggerimento quantitativo della BCE dopo la conferenza stampa della settimana scorsa, la presunta intenzione della Banca del Giappone di agire sulla curva dei rendimenti e una nuova valanga di liquidità dopo la pausa estiva hanno spinto in rialzo i rendimenti e aumentato le curve. Siamo in presenza di quella grande ondata di vendite generalizzate di obbligazioni di cui alcuni investitori parlano già da diversi anni, o semplicemente di una mera correzione tecnica che non dovrebbe preoccupare chi continua a scommettere su quest’asset class? I movimenti cui abbiamo assistito nei mercati obbligazionari negli ultimi giorni sembrano dipendere più da fattori tecnici che dai fondamentali. Le valutazioni ora sono in maggiore sintonia con i fondamentali ma siamo ancora in uno scenario di crescita e inflazione basse. Ciò significa che le Banche centrali resteranno attive, lasciando poco margine per aumenti significativi dei rendimenti rispetto ai livelli attuali.

In Europa, la BCE presto dovrà vedersela con la scarsità di obbligazioni e sta già ripensando al suo programma di QE. Questo non vuol dire che ha intenzione di gettare la spugna - come sembra suggerire la reazione del mercato – ma che, anzi, sta studiando il modo di applicare più stimoli e non di diminuirli. Intanto, negli Stati Uniti gli ultimi dati pubblicati segnalano che l’economia è in recupero progressivo, per cui difficilmente la Fed metterà i bastoni tra le ruote. Di conseguenza, c’è da pensare che il ritmo dei rialzi dei tassi sarà lento e prudente.

Gli elementi a disposizione, tuttavia, sembrano indicare che dietro l’agitazione dei mercati si nasconda il timore che la Yellen applichi un rialzo dei tassi a settembre. L’incertezza a proposito è totale. Secondo quanto fanno sapere da Aberdeen, dall’ultimo rapporto dell’Institute for Supply Management (ISM) sull’attività nel settore non manifatturiero emergono dati più deboli del previsto. “Questo, unito al deludente rapporto sulla produzione pubblicato anteriormente, portava la probabilità data dai mercati a un rialzo dei tassi a settembre dal 30% al 20%. Cifra che è ritornata al 30% dopo i commenti di un membro della Fed che suggerivano un aumento dei tassi in caso l’economia sperimentasse un riscaldamento eccessivo”, spiegano dall’entità. Lo scenario più probabile è che l’autorità monetaria non aumenti i tassi questo mese ma, con il miglioramento dei dati economici degli USA, ha sempre meno motivi per non farlo.  

Per Franck Dixmier, global head of fixed income di Allianz Global Investors, “con l’inflazione di base contenuta al di sotto del livello obiettivo del 2%, la Fed non ha urgenza di aumentare i tassi di interesse. Tuttavia, in un contesto di piena occupazione negli USA sarebbe sempre più difficile mantenere questo status quo a lungo. Dopo il recupero dell’appetito per il rischio da parte degli investitori durante l’estate, ormai non valgono più i possibili rischi esterni per la crescita e la stabilità economica derivanti dalla Brexit che sono stati usati come scusanti per non agire a giugno e luglio, ed è molto più probabile che la Fed si soffermi sulla futura evoluzione dell’economia domestica”, afferma. A suo giudizio, questa normalizzazione del ciclo della politica monetaria sarà probabilmente molto diversa da quelle che abbiamo visto in passato e ci fa pensare solo rialzi graduali e moderati.

“La Fed dovrà evitare qualsiasi impatto negativo sulla crescita economica degli USA e la stabilità finanziaria. Visto il contesto, ci aspettiamo che la reazione iniziale del mercato di fronte al prossimo aumento dei tassi metterà sotto pressione gli asset rischiosi – azionario e credito – ma anche che queste asset class potrebbero riprendersi presto e mostrare un buon comportamento. Fino ad ora, la curva dei rendimenti degli USA non riflette il pieno potenziale di rialzi dei tassi di interesse dei fondi federali nel 2017; un’investimento nel breve termine nel Tesoro degli USA associato a un’esposizione lunga sulle obbligazioni tedesche permetterebbe agli investitori di beneficiare di questo potenziale aumento del differenziale che scaturirebbe dalla crescente divergenza tra la politica monetaria della Fed e la BCE”, indica l’esperto della società tedesca.