Da 0,5 a 0,75%. Arriva a distanza di un anno l'atteso rialzo dei tassi da parte di Janet Yellen. Ecco le prime reazioni delle società di gestione internazionali.
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È trascorso un anno prima che la Federal Reserve facesse finalmente il suo secondo rialzo dei tassi di interesse dallo 0,5% al 0,75%, con lo slogan di "l'orientamento della politica monetaria resta accomodante, sostenendo in tal modo un ulteriore rafforzamento delle condizioni del mercato del lavoro e il ritorno al 2% d’inflazione".
L'istituto monetario aveva da tempo preparato il mercato a questa eventualità: nei giorni precedenti si parlava di un 95% - 100% di possibilità di rialzo mentre i 103 analisti interpellati da Bloomberg News sottolineavano all'unanimità un rialzo dei tassi.
La questione adesso è con quale forza la Fed spingerà sull’acceleratore nel 2017, in base ovviamente al comportamento dell’inflazione. Ci si aspettava che Janet Yellen desse qualche indizio in più al mercato su quello che potrebbe accadere il prossimo anno. Eppure la presidente della Fed ha omesso qualsiasi riferimento alle misure future di politica fiscale.
“La parte più interessante riguarda le sue parole sul livello che potrebbero raggiungere i tassi di interesse da qui in poi", dice dice Luke Bartholomew, gestore di Aberdeen, in riferimento la famoso grafico a punti: i membri del FOMC hanno stimato una media del livello dei tassi per il prossimo anno tra 1,25% e l’1,5%, cosa che dovrebbe comportare almeno altri due o tre rialzi nel 2017. "Lo scorso anno in questo periodo le previsioni della Fed si sono rivelate essere lontane anni luce dalla realtà mentre quest’anno ci sono motivi per pensare che la retorica della Fed sia più realistica. L’economia è in una fase di recupero più avanzata ed i prezzi di mercato lo riflettono. Possiamo quindi aspettarci che i tassi salgano lentamente nel corso del prossimo anno.
Donald Trump, l’incognita dell’equazione
“Secondo noi gli avanzamenti chiave dell’anno saranno le politiche della futura amministrazione americana. Noi e i mercati siamo arrivati alla conclusione provvisoria che il presidente eletto seguirà una politica di crescita, con stimoli soprattutto in riferimento a riforme fiscali, mentre attuerà un protezionismo minore rispetto a quello proposto durante la campagna elettorale” dice David Page, economista senior di AXA IM. Tuttavia, aggiunge l’esperto, “non compete alla Fed anticipare i cambi delle politiche di governo”, e quindi le previsioni per il 2017 non sono basate su una possibile riduzione fiscale.
Per Lee Ferridge, head of multi-asset strategy North America di State Street Global Markets “mentre il mercato, e ora anche la Fed, sembra credere che il piano di Trump fornirà un impulso significativo alla crescita dell’economia per il prossimo anno, un giudizio definitivo non può ancora essere espresso. Per ora il piano fiscale di Trump consiste in tagli delle imposte sui redditi più elevati e in una riduzione netta della spesa, seppur con ampie agevolazioni fiscali per gli investitori privati al fine di incentivarli ad investire nel settore delle infrastrutture. È certamente motivo di grande dibattito se questo mix fiscale sarà sufficiente a superare i venti contrari creati da un dollaro più forte e da tassi d’interesse interni più elevati”.
I dubbi sono condivisi anche da Antoine Lesné, EMEA head ETF strategy di SPDR ETFs: “benché non sia ancora possibile esprimere un giudizio definitivo, questo risultato potrebbe aumentare ulteriormente la pressione sulla crescita dei rendimenti dei bond nella fase finale della curva. Le aspettative rispetto a un'inflazione più elevata potrebbe portare benefici ai TIPS (treasury inflation protected securities) su base relativa. Anche se il FOMC suggerisce che le politiche di Trump potrebbero far crescere l'economia, ci sono ancora molte incognite dato che molto deve essere ancora fatto. Ci aspettiamo che il dollaro USA si rafforzi e che le obbligazioni soffrano. Riteniamo opportuno mantersi cauti monitorando il mercato azionario che non ha ancor apienamente scontato il rialzo dei rendimenti obbligazionari".
Cauti ma anche convinti che la posizione elativamente “morbida” della Fed si manterrà nei primi mesi del prossimo anno sono anche gli analisti di NN Investment Partners. La società di gestione non parla della probabilità che Trump possa applicare il suo programma, ma calcola che, nel caso venisse eseguito, contribuirà a incrementare il deficit pubblico, e questo comporterà “una maggiore crescita e probabilmente anche un’inflazione più alta, visto che l’economia statunitense sfiora già un livello di crescita potenziale”. Perciò non esclude la possibilità che la Fed aumenti i tassi ad un ritmo più rapido di quello previsto prima delle elezioni americane.