Il success rate nell'anno in corso dei fondi attivi è stato intorno al 40% per l’azionario e intorno al 20% per l’obbligazionario. Contributo a cura di Anna Paola Marchi, responsabile della clientela wholesales di Credit Suisse AM.
Contributo a cura di Anna Paola Marchi, responsabile della clientela wholesales di Credit Suisse AM.
Il 2020 verrà probabilmente ricordato nei libri di storia economica come anno degno di nota. Lo shock vissuto dai mercati e dall’economia globale tra febbraio e aprile 2020 ha evidenziato tutta la potenza di un tipo di crisi sinora mai sperimentata su scala globale: quella sanitaria. Pur non essendo la prima pandemia influenzale a livello globale (ricordiamo la spagnola del ‘18/19, l’asiatica del ‘57/58 e la febbre di Hong Kong del ’68), l’epidemia del Covid-19 è sicuramente il primo evento di questo tipo in un mondo globalizzato.
L’impatto sui mercati finanziari è stato impressionante: dai massimi del 19 febbraio ai minimi di un mese dopo, l’indice globale MSCI World ha perso oltre un terzo del suo valore, con una dispersione record delle performance settoriali1. Al contempo, anche i mercati obbligazionari sono stati molto turbolenti: dopo una prima reazione cautamente positiva, gli spread degli indici IG globali hanno visto un allargamento di oltre 170 punti.
Un contesto caratterizzato da volatilità e dispersione record delle valutazioni dovrebbe teoricamente essere la migliore condizione per generare alfa, aprendo opportunità e dislocazioni di valore sia nell’azionario che sull’obbligazionario. In realtà, secondo una ricerca Morningstar, meno della metà dei fondi azionari attivi e solo un terzo dei fondi a reddito fisso attivi hanno superato i loro equivalenti indicizzati durante i primi sei mesi del 2020. Come infatti si evince dai dati riportati di seguito per alcune asset class “core” sia azionarie che obbligazionarie, il “success rate” del 2020 dei fondi attivi è stato intorno al 40% per l’azionario e intorno al 20% per l’obbligazionario.
La peggior performance relativa dei fondi attivi obbligazionari con tutta probabilità è stata dovuta al fatto che essi sono tipicamente maggiormente esposti al rischio di credito e illiquidità rispetto a fondi passivi ed ETF, spesso nella ricerca di un extra-rendimento in titoli non inclusi nel benchmark. Questa caratteristica ha probabilmente reso più difficoltoso e costoso realizzare alcune porzioni del portafoglio durante i pesanti rimborsi di marzo/aprile, giustificando almeno parzialmente le performance poco brillanti
Più in generale, la performance media nel 2020 dei fondi indicizzati è stata superiore a quella dei fondi attivi a dispetto, come dicevamo, di un anno che in ragione della volatilità e dei ribassi di mercato offriva opportunità di differenziazione dai benchmark e quindi di generazione di alfa straordinari.
Spostando la lente dell’analisi a un arco temporale di 10 anni, la percentuale di successo dei manager attivi è stata inferiore al 25% in quasi due terzi delle asset class considerate. In alcuni casi, i fondi attivi sono andati meglio in categorie regionali molto specifiche. Ad esempio, quelli delle categorie Morningstar a media capitalizzazione del Regno Unito e Danimarca hanno costantemente superato i loro concorrenti a gestione passiva.
Un altro fattore da considerare sui 10 anni è il tasso di sopravvivenza dei fondi rispetto all’insieme iniziale. Il confronto dei tassi di mortalità tra fondi attivi e passivi mostra che questi ultimi hanno avuto maggiori probabilità di sopravvivenza a lungo termine. Tale dinamica, naturalmente, è fortemente influenzata dalle performance storiche. Anche le percentuali di successo dei gestori attivi del reddito fisso sono state basse: negli ultimi dieci anni, meno di un quarto è riuscito a vivere e superare i propri competitor passivi in 10 delle 14 categorie che abbiamo analizzato.
Sebbene il futuro sia indecifrabile, in passato sono state proprio le fasi di grande incertezza, come quella attuale, a offrire il terreno più fertile alla gestione attiva. L’evidenza empirica, in questa prima parte del 2020 sconfessa questa tendenza e si conferma invece la difficolta’ da parte della gestione attiva tradizionale di generare extrarendimento sia rispetto ai benchmarks che rispetto agli strumenti di replica passiva.