Rubrica di opinione a cura di Alessandro Balsotti, senior portfolio manager di JCI Capital Limited.
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La recente riunione della BCE ha deluso aspettative molto elevate scatenando un movimento di mercato che è stato più conseguenza del posizionamento molto allineato su uno specifico macro-trade (corto euro, lungo azionario e obbligazionario europeo perché Draghi, come sempre, rispetterà o batterà le attese) che dovuto al contenuto sostanziale. La BCE ha comunque tagliato ulteriormente il tasso di deposito e ha esteso di altri sei mesi la lunghezza minima prevista per l’attuale programma di acquisto titoli. Sostanzialmente non può essere considerato un ‘policy mistake’, cioè una risposta che molti, se non tutti, possano considerare inadeguata alle condizioni economiche.
Ma certamente è stato un ‘communication mistake’ (presumibilmente involontario, nel senso che Draghi e i suoi fedelissimi non sarebbero riusciti a raggiungere l’obiettivo che si erano prefissi causa un’opposizione più forte del previsto da parte dei ‘falchi’ del comitato) che, in maniera indiretta, può diventare un ‘policy mistake’ nel momento in cui le conseguenze sui mercati sono tali da annullare l’accomodamento che le nuove misure monetarie cercano di generare. In effetti al momento la borsa europea è più bassa, l’euro più forte (su base trade weighted) e le aspettative di inflazione più basse (quindi i tassi reali più alti) rispetto al 22 ottobre, data in cui il governatore ECB ha iniziato a segnalare che era necessario generare maggiore easing nelle condizioni finanziarie.
Ovviamente la paternità dell’avversione al rischio presentatasi prepotente nell’ultima settimana non è certo solo (né principalmente) di Mario Draghi. Altri eventi stanno avendo conseguenze più significative. La riunione OPEC ha innescato un nuovo prepotente ribasso del petrolio. Dopo l’inclusione nel basket SDR dell’IMF lo yuan è stato lasciato maggiormente libero di indebolirsi. Alcune storie idiosincratiche (Brasile e Sud Africa) hanno tenuto assai elevata la volatilità nei mercati emergenti. Il circolo vizioso materie prime-mercati emergenti-avversione al rischio è ripartito in tutta la sua perniciosità risvegliando memorie non piacevoli più o meno recenti (agosto-settembre 2015 e dicembre 2014).
Si era già discusso a lungo un anno fa sui benefici e sugli effetti negativi che importanti cali nel prezzo del petrolio possono avere sull’economia. Ormai sappiamo che quando questi cali sono generati da dinamiche relative all’offerta o a fattori climatici (quasi ogni giorno ci vengono ricordati gli effetti del Niño sul meteo degli Stati Uniti in questo inverno 2015-2016) e non al (mancato) vigore della domanda, si può ipotizzare che stia arrivando uno shock positivo all’economia, i.e. più soldi disponibili in tasca al consumatore. Il problema è che questo è un effetto di medio-lungo ed è, inoltre, soggetto a un’importante componente psicologica: il consumatore deve sentirsi tranquillo nella sua situazione economica prospettica per spendere liberamente quei soldi in più. L’effetto più immediato, generalmente immancabile, è quello sui mercati finanziari che hanno un’esposizione al settore Energy&Materials ben superiore a quello dell’economia reale. A questo aggiungiamo la turbolenza che il crollo del petrolio porta in quelle economie che
sono fortemente dipendenti dall’esportazione dello stesso.
In ogni caso tutto questo, anche accompagnato dalle difficoltà del mondo emergente e all’instabilità dello yuan, non dovrebbe essere sufficiente ad innescare crolli sostenuti e duraturi nei mercati. In questa fase sta però emergendo una minaccia nuova. Le difficoltà per il comparto obbligazionario corporate, in particolare quelle ad alto rendimento (High Yield), sono sempre più evidenti. Il fenomeno non è ovviamente inedito e si è ripetuto spesso negli ultimi trimestri ogni qualvolta i prezzi del petrolio hanno subito cali importanti. Il settore Energy&Basic materials ha un peso molto più elevato nel mondo Corporate Bond HY rispetto a quello che ha nell’S&P 500 (17% vs 10% circa). Questa volta però non è solo una questione di perdite limitate principalmente a questo settore.
E, soprattutto, gli investitori stanno iniziando a ragionare sui pericoli causati da uno strutturale problema di liquidità. Nulla di nuovo ovviamente ma l’attenzione del mercato sta iniziando a focalizzarsi su questo aspetto, con l’aiuto di notizie sempre più frequenti su blocchi ai riscatti e chiusure/liquidazioni di fondi specializzati su obbligazioni High Yield.