Si apre una nuova età dell’oro per la medicina?

Rudi Van den Eynde, Head of Thematic Global Equity, CANDRIAM

Contributo a cura di Rudi Van den Eynde, head of Thematic Global Equity  di CANDRIAM. Contenuto sponsorizzato.

L’impatto che il COVID-19 ha avuto finora sul genere umano ha enfatizzato il ruolo fondamentale della scienza medica nel buon funzionamento delle nostre strutture sociali ed economiche. Di fronte alla pandemia, è stato necessario trovare rapidamente potenziali soluzioni, e i risultati sono arrivati in tempi record grazie a tecnologie rivoluzionarie. È arrivato il momento di puntare i riflettori sulla ricerca medica?

L’importanza sempre maggiore della scienza in ogni ambito è sempre più evidente per tutti. Non si tratta semplicemente di garantire intrattenimento e comodità nella vita quotidiana ma anche di assicurare la sopravvivenza del mondo in cui viviamo. La scienza ha la responsabilità di continuare a trovare soluzioni per utilizzare in modo più efficiente le risorse naturali del pianeta, preservare la stabilità del clima, l’ecosistema e, non ultima, la nostra salute. Queste soluzioni nascono in misura sempre maggiore da approcci interdisciplinari, ed è questo il caso anche per quanto riguarda la produzione e la commercializzazione in tempi brevissimi dei vaccini anti-COVID-19. Lo sviluppo dei vaccini è stato il frutto di un immenso sforzo collettivo che ha coinvolto i settori dediti alla ricerca su immunologia e malattie infettive, medicina oncologica, biologia molecolare e genetica.

Le tecnologie utilizzate per i vaccini derivano dai metodi sviluppati negli ambiti della medicina genetica e delle terapie sperimentali contro i tumori, e i vaccini stessi sono basati su RNA messaggero (mRNA), DNA e vettori virali. I vaccini convenzionali contengono generalmente una forma indebolita dell’organismo che provoca la malattia e delle proteine che lo compongono, in grado di stimolare la risposta del sistema immunitario umano. I vaccini a mRNA sono diversi e, soprattutto, non introducono nel corpo del paziente alcun elemento proveniente da virus o batteri dannosi.  Questo tipo di vaccini funziona utilizzando una molecola di mRNA a filamento singolo derivata dal DNA del virus che causa il COVID-19; questa molecola contiene tutte le informazioni necessarie per produrre la proteina che costituisce le spicole, anche dette “spike”, ovvero le protuberanze presenti sull’involucro del virus. L’organismo umano viene quindi indotto a credere di essere stato infettato e produce anticorpi in grado di riconoscere quella specifica proteina e di offrire protezione nell’eventualità che in futuro l’infezione vera e propria riesca a farsi strada nell’organismo.

La tecnologia basata sull’mRNA è già stata utilizzata con successo per produrre vaccini contro i virus dell’influenza e della rabbia, il virus Zika e molti altri[1]; ha inoltre accelerato in modo sostanziale la velocità con cui si scoprono nuovi farmaci, accorciando quindi il tempo che intercorre tra l’idea iniziale e la produzione del primo lotto di vaccini candidati rispetto ai tempi necessari per lo sviluppo dei vaccini tradizionali. Tutto ciò è possibile perché la produzione di mRNA su larga scala è più semplice, più rapida e più economica.

I vaccini a mRNA per il COVID-19 aprono nuove vie per i trattamenti oncologici?

Il cancro, nelle sue molteplici forme, è la seconda causa di morte nel mondo. Dal momento che alcuni tumori vengono trattati utilizzando anticorpi e che lo sviluppo di alcuni tipi di tumore è legato a specifici virus, molti si sono chiesti se l’utilizzo della tecnologia a mRNA per la creazione di vaccini anti-COVID-19 possa aprire la strada a nuovi trattamenti per il cancro.

Si tratta, naturalmente, di un’ipotesi che non si può escludere, tuttavia sono già stati fatti in passato alcuni tentativi per applicare questa tecnologia nel campo della ricerca oncologica. Si è già provato, in una certa misura, a creare un vaccino antitumorale basato sull’mRNA che fosse in grado di “spiegare” all’organismo come produrre uno specifico antigene antitumorale capace di stimolare il sistema immunitario a combattere le cellule tumorali (quelle che esprimono questo stesso antigene). Purtroppo, gli sforzi compiuti in questa direzione non hanno avuto successo, ma sicuramente le attività di ricerca su questo fronte proseguiranno. Alcuni dati ricavati da uno studio in fase iniziale e presentati a fine 2020 in occasione di un convegno medico lasciano ben sperare. Continueremo a monitorare da vicino i progressi in questo campo.

La sanità di domani si costruisce con l’innovazione

La pandemia da COVID-19 ha sicuramente fatto comprendere al grande pubblico il ruolo essenziale della ricerca medica. Questo, tuttavia, non è limitato alla sfera dei vaccini. La ricerca medica ha compiuto enormi progressi negli ultimi decenni. Per esempio, l’avanzamento della ricerca oncologica negli ultimi 15 anni è stato maggiore di quello registrato nel corso di tutto il ventesimo secolo. Una delle scoperte più rivoluzionarie effettuate in questo arco di tempo riguarda l’uso degli inibitori di PD1. Gli inibitori di PD1 e di PDL1 costituiscono un gruppo di farmaci concepiti per bloccare l’interazione tra le cellule tumorali e il sistema immunitario umano. Sebbene questi nuovi trattamenti si siano dimostrati abbastanza efficaci di per sé, i ricercatori hanno scoperto che funzionano meglio se combinati con un trattamento già affermato da molto tempo, ovvero la chemioterapia[2], almeno per quanto riguarda alcuni tipi di cancro. Molti degli sviluppi più significativi nella sfera delle terapie oncologiche sono di questo tipo: riguardano il miglioramento dei trattamenti esistenti o strategie per ottenere esiti simili in modo più mirato o con meno effetti indesiderati.

La nostra squadra ha molte competenze specialistiche nel campo della ricerca medica, che sfruttiamo per analizzare costantemente gli sviluppi relativi a nuovi farmaci, nuovi test diagnostici e nuovi metodi di profilazione dei tumori. Si registrano numerosi sviluppi promettenti durante gli studi preclinici, ma solo le sperimentazioni cliniche consentono di valutare se un farmaco possa davvero offrire una speranza ai pazienti. Per questo motivo ci concentriamo prevalentemente sui dati clinici per prendere le decisioni relative agli investimenti, tenendo conto allo stesso tempo dei meccanismi di azione dei potenziali trattamenti e dei relativi dati preclinici. Investiamo in modo significativo solo nei trattamenti sostenuti da dati clinici promettenti, anche se basati su un numero di pazienti relativamente basso.

Maggiori opportunità per gli investitori

Il problema dei finanziamenti si è molto ridimensionato rispetto a diversi anni fa. Le start-up che propongono soluzioni realmente innovative nel nostro settore generalmente non hanno problemi a trovare i fondi iniziali necessari. I primi fondi di seed capital per sostenere il lancio provengono da investitori smart di venture capital, la maggior parte dei quali è molto competente ed è in grado di riconoscere il potenziale di particolari innovazioni. Le aziende quotate in borsa hanno anche la possibilità di raccogliere fondi attraverso l’emissione di partecipazioni.

Una nuova risorsa di importanza cruciale è inoltre rappresentata dal numero sempre maggiore di fondi specializzati, come i nostri, che finanziano le pipeline di ricerca più solide per conto dei propri investitori, consapevoli dei rischi. Che ci aspetti o meno una nuova età dell’oro per la ricerca medica, gli investitori si trovano sicuramente in una posizione migliore rispetto agli anni passati per trarre profitto da alcune delle innovazioni più decisive del settore.


[1] https://www.nature.com/articles/nrd.2017.243

[2] https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/31535160/