Philippe Ithurbide, global head of research di Amundi, analizza i segmenti più a rischio e delinea tre possibili scenari per il 2018.
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Il tema del ‘cambio di regime’ (volatilità, livello dei tassi d’interesse, inflazione ecc) è recentemente tornato alla ribalta, portando a una correzione sui mercati finanziari nei mesi di gennaio e febbraio. “Il mondo non fa neanche in tempo a uscire dalle secche della crisi finanziaria del 2007-2008 che già si affaccia il rischio di un’altra”, commenta Philippe Ithurbide, global head of research di Amundi.
Ogni crisi, spiega l’esperto, è preceduta da segnali chiarissimi che spesso, però, vengono ignorati non solo dagli investitori ma dalle stesse autorità. È successo con la bolla tecnologica e l’eccesso di indebitamento degli anni Novanta, con i sub prime nel Duemila, e potrebbe accadere in futuro. Dopo tutto, “chi crede ancora che il regime di bassa volatilità, bassa inflazione, bassi tassi e valutazioni eccessive degli attivi possa durare all’infinito?”, si domanda Ithurbide.
La domanda che bisogna porsi adesso e che rappresenta “la posta in gioco per il 2018”, è se sia possibile passare da un regime di crescita senza inflazione e con tassi bassi a un altro di maggior volatilità e con inflazione e tassi di interesse più alti, senza che intervenga una crisi finanziaria o uno shock macroeconomico.
Mercati a rischio
A detta dell’esperto, sono tre i mercati che potrebbero scatenare “uno shock di vasta portata o una crisi”:
- il mercato obbligazionario. “L’inflazione resta su livelli contenuti, i tassi di interesse sono troppo bassi per via delle politiche monetarie ultra espansive e del QE, dell’eccesso di liquidità delle Banche centrali e della minor liquidità di mercato. In una situazione di bolla, i prezzi sono ben lontani dall’equilibrio, ed è proprio qui che sta il problema”, spiega il responsabile.
- il mercato del credito in Cina. L’economia cinese ha continuato a crescere a ritmi elevati dopo la crisi finanziaria del 2008 e il governo cinese sta facendo tutto il possibile per mantenere un tasso di crescita superiore al 6%. “Tutto questo ha causato un aumento del debito interno e un rialzo dei tassi d’interesse su scala mondiale danneggerebbe molto l’economia del Paese. Esiste un grande rischio di assistere a uno sgonfiamento difficile della bolla cinese che potrebbe essere controllato con difficoltà dall’autorità centrale. La cattiva gestione della bolla sul mercato azionario, che provocò e poi corresse nel 2015, o la gestione dello yuan nel 2015 e agli inizi del 2016, non fanno ben sperare”, sottolinea Ithurbide.
- il mercato azionario americano, che è considerato da molti investitori ‘eccessivamente sopravvalutato’ ma la cui crescita è giustificata dalla solidità dell’attività economica (superiore alla crescita potenziale), dall’assenza d’inflazione, dalla dinamica degli utili, dalle misure fiscali, ma anche dalla politica monetaria accomodante.
Fattori scatenanti
Tra i numerosi fattori che l’esperto ritiene possano potencialmente scatenare una prossima crisi, vi sono un repricing dei premi per il rischio, che determinerebbe “fasi di maggior volatilità, tassi d’interesse a breve e a lungo termine più alti, ampliamento degli spread del credito e senza dubbio frequenti cali dei mercati azionari”, uno shock inflazionistico - difficile da immaginare visti i livelli dei tassi – o da politiche monetarie, “che fanno spesso da miccia alle crisi finanziarie”, o ancora una delusione circa le dinamiche di crescita e inflazione, l’aumento del protezionismo o uno shock politico/geopolitico inatteso.
Tre possibili scenari
Sulla base di queste considerazioni, l’esperto di Amundi traccia tre possibili scenari per l’anno in corso:
#1. La ‘grande moderazione’. Poca volatilità, stabilità della crescita e dell’inflazione, inflazione e tassi di interessi più bassi (probabilità: 10%).
È ormai evidente che il 2018 non sarà come il 2017 perché la situazione economica sta cambiando rapidamente. “Gli output gap si riassorbiranno nei prossimi mesi, i tassi di disoccupazione ritorneranno ai livelli strutturali, la crescita non accelererà, anzi, e i rischi d’inflazione, anche se moderati, sono evidente”. Una situazione del genere consentirà probabilmente alle Banche centrali, Fed in primis, di continuare a ricostruire lo spazio di manovra. Il contesto di ‘grande moderazione’ (stabilità dei principali aggregati economici come la crescita e l’inflazione), ma anche la scarsa volatilità e i bassi tassi di interesse, scomparirà.
#2. Un anno di maggior volatilità, con frequenti sbalzi d’umore dei mercati finanziari (probabilità: 75%).
“È molto difficile prevedere se ci sarà una crisi finanziaria di grandi dimensioni come quella del 2000 o del 2008”, dice l’esperto. Se da un lato esistono fattori rassicuranti (come il buon stato di salute delle banche, un contesto macro favorevole, un’inflazione moderata, una minore sensibilità delle economie a quest’ultima, un tasso di interesse neutrale più basso di prima e la credibilità, nonché prevedibilità, delle Banche centrali), dall’altro i tempi sono cambiati, “l’era dei tassi bassi per sempre è finita e il grande periodo della disinflazione è termianto”, spiega l’esperto. Ciò significa che il ‘repricing’ dei premi per il rischio porterà a periodi di maggior volatilità, con un rialzo dei tassi a breve e a lungo termine, un ampliamento degli spread creditizi e senza dubbio shock ripetuti sui mercati azionari.
#3. Un 2018 di forte crisi (probabilità: 15%).
Una crisi finanziaria significativa non può essere del tutto esclusa. Tuttavia, questo non è lo scenario più probabile secondo l'esperto di Amundi. "La scarsa liquidità e il posizionamento simile di molti portafogli rappresentano un rischio supplementare per i mercati finanziari nel caso di una crisi/di uno shock. Ovviamente le politiche monetarie nei Paesi più avanzati non sono in grado di sostenere le economie e i mercati finanziari nel caso di una crisi, a meno che non lancino nuovi programmi di QE", conclude.