Quali sono le dinamiche che stanno influenzando le scelte degli investitori esteri sul Dragone? Se ne è discusso nella settima tavola rotonda dei FundsPeople Talks con focus fixed income.
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Quali sono le dinamiche che stanno influenzando le scelte degli investitori esteri sul Dragone? Se ne è discusso nella settima tavola rotonda dei FundsPeople Talks con focus fixed income.
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L'economia cinese sta affrontando sfide significative che influenzano i mercati, causando preoccupazione tra gli investitori internazionali. Gli investitori esteri si stanno ritirando dalle azioni e obbligazioni cinesi, con deflussi che ammontano a 188 miliardi di dollari tra dicembre 2021 e giugno 2023, secondo dati di Bloomberg. Una reazione dovuta, in sostanza, alla crescita economica del Paese inferiore alle aspettative, al calo del renminbi e alle continue crisi nel settore immobiliare, che rappresenta circa un quarto dell'economia cinese. Gli interventi del governo per alleviare la crisi di liquidità dei developer immobiliari sono stati un passo nella giusta direzione, ma gli analisti sostengono che queste azioni dovrebbero essere accompagnate da politiche fiscali e monetarie più forti per sostenere la domanda nel settore. Ad aggravare lo scenario anche il giro di vite regolamentare sulle aziende tecnologiche messo in atto dal presidente Xi Jinping e le tensioni geopolitiche. Questi fattori stanno creando un ambiente cauto e incerto per i mercati obbligazionari e del credito cinesi, con gli investitori esteri sempre più propensi a ridurre la loro esposizione a questi rischi. Nella settima tavola rotonda dei FundsPeople Talks con focus fixed income si è analizzato lo scenario economico attuale in Cina e le dinamiche che stanno influenzando le decisioni degli investitori, grazie alla presenza di un esperto internazionale di debito cinese e di alcuni fund selector del panorama italiano. Non è mancata una riflessione sulle tematiche ESG legate a questo mercato.
Come ricorda Cary Yeung, head of Greater China debt di Pictet AM, “la Cina si trova in una fase di transizione economica, e sta passando da un'economia basata sugli investimenti a una più incentrata sui consumi”. L’esperto riconosce che ci vorrà del tempo e che la crescita economica del Paese potrebbe non tornare ai livelli precedenti. Tuttavia, si dice abbastanza ottimista sul futuro e ritiene che “la politica del governo di controllare il settore immobiliare sia positiva per prevenire bolle speculative e situazioni di sovra-leveraggio che potrebbero portare a rischi sistemici”. Per quanto riguarda il mercato del credito, prosegue, “all’estero c’è grande attenzione (e preoccupazione) sui problemi dei developer immobiliari cinesi ma questi rappresentano solo una piccola parte del nostro mercato del credito. La maggior parte - sottolinea - è formata da aziende di proprietà statale di alta qualità, spesso valutate da agenzie come S&P e Moody's, che svolgono ruoli di politica economica in Cina”. Il fatto che il mercato obbligazionario cinese sia meno “pubblicizzato” rispetto a quello azionario non significa che sia privo di opportunità d’investimento: “Ha una bassa volatilità, una bassa correlazione con il resto del mondo e rendimenti reali significativi. Il nostro approccio è quello di concentrarci sui crediti di alta qualità e sui bond governativi cinesi. Se osserviamo il rendimento di questi ultimi a cinque anni, attualmente si aggira intorno al 2,55%. Ma l'inflazione cinese è solo dello 0,1% quindi il rendimento reale è molto buono”, commenta. La ragione di questo positivo livello di inflazione, spiega Yeung, “ha in parte a che fare con la gestione della pandemia da parte del governo e con il fatto che il bilancio della PBoC non è aumentato rispetto a quello della Fed o della Bce”.
Sulla questione ESG, il professionista esprime altrettanto ottimismo. “In Cina - ammette - la tematica ESG è ancora in una fase iniziale ma sta guadagnando sempre più importanza, soprattutto sul lato delle iniziative verdi e al momento ci sono circa 320 miliardi di dollari di green bond emessi da società cinesi e la cifra aumenterà”. Il 2030 sarà l’anno in cui la Cina prevede di raggiungere il picco delle emissioni di carbonio per poi puntare alla neutralità entro il 2060, e questo, prosegue Yeung “richiederà un investimento importante, di 5-10 mila miliardi di dollari”. Sull’introduzione nel 2022 dei China Green Bond Principles (secondo i quali il 100% dei fondi raccolti dall’emissione di green bond cinesi dovranno essere destinati a progetti verdi) l’esperto aggiunge che “l’obbligo non riguarda le compagnie statali ma sono fiducioso che poco a poco le cose cambieranno. Questi principi, tuttavia, non sono allineati con la tassonomia dell’UE quindi è difficile fare un vero e proprio raffronto”.
1/3Diversa è invece la posizione di alcuni fund selector sul Dragone. “Negli ultimi due anni abbiamo puntato molto sulla Cina, ma ora devo ammettere che è stata una scommessa sbagliata”, dichiara senza giri di parole David Karni, responsabile portafogli d'investimento di BCC R&P. “Pensavamo che il governo cinese avrebbe agito in modo più deciso, intervenendo strutturalmente, e non solo correggendo gli errori fatti introducendo regolamenti sulle proprietà o prendendo decisioni drastiche nel settore IT. Di recente, sono circolate nuove notizie, ma non credo sia il momento di agire basandosi su queste o su voci”, prosegue. Un cambiamento tangibile è quello di cui hanno bisogno gli investitori per tornare a credere nella Cina. “Lo scorso novembre, pensavamo che la situazione fosse superata e che il governo avrebbe sostenuto il settore immobiliare e l'economia. Ma a gennaio, la politica zero Covid è finita e, nonostante le aspettative di un nuovo inizio, non è cambiato nulla”, spiega Karni. La principale preoccupazione dell’esperto è capire “come cambierà l'economia cinese e quali saranno i settori dominanti. Se prima si investiva su tutta la Cina, ora si punta sui veicoli elettrici o sul miglioramento dei consumatori interni, e non più sulla produzione tradizionale. Tutto è diventato più complesso. La visione a lungo termine sembra superata. Dobbiamo concentrarci sulle performance quotidiane”, afferma.
Rispetto alla sostenibilità, Karni ammette che parlarne in relazione ai mercati emergenti risulta piuttosto complesso, “soprattutto perché i regolatori cambiano continuamente direzione ed è difficile stargli dietro”. Secondo l’esperto, la cosa fondamentale in questi mercati è la proattività in materia di ESG: “Avere un impatto reale è arduo, soprattutto se si considera l'interazione con i governi, come quello cinese, con cui è praticamente impossibile intervenire. L'unico modo per classificare un fondo dei mercati emergenti, sia azionario che obbligazionario, come ESG, penso sia attraverso l'impact investing”. Sostenere di essere un investitore a impatto, secondo Karni, implica agire di conseguenza. “Se si prende parte a un’assemblea e si chiede conto dei miglioramenti nella parità di genere o nelle condizioni lavorative e la risposta è negativa non si può continuare a detenere quell'azienda nei propri investimenti. E questa presa di posizione secondo me nei mercati emergenti non c’è ancora”, sottolinea.
2/3Della stessa opinione è William Trevisan, portfolio manager di Pharus AM, che dichiara: “La Cina è stata per noi una grande scommessa (attraverso fondi ed ETF) fino a febbraio-marzo del 2021, considerati i dati positivi sul PIL che la vedevano al secondo posto dopo gli Stati Uniti sebbene poco rappresentata negli indici internazionali. Purtroppo le ingerenze politiche nella vita economica cinese che hanno caratterizzato gli ultimi anni ci hanno indotto a ridurre gli investimenti in Cina, che attualmente sono circa un 5% sul CSI 300 Index. A ottobre, inoltre, abbiamo ridotto anche la quota su Hong Kong spostandola sull’India, sempre attraverso l’uso di ETF”. Attualmente, la view della società sulla Cina è cauta “sia per la situazione politica del Paese che per quella economica, soprattutto perché il settore dei consumi non si è sviluppato come previsto”. Da Pharus hanno deciso, quindi, di ridurre le posizioni sia sul fronte azionario che obbligazionario su cui, nello specifico, non hanno più investimenti. “Abbiamo venduto le posizioni che detenevamo sui bond governativi cinesi tramite ETF e fondi nella prima parte del 2022, anno in cui si sono rivelate le asset class più positive al mondo assieme ai bond sudafricani”, spiega.
L’obiettivo primario, per la società, è costruire un portafoglio efficiente e performante per il cliente quindi valutano importante il vincolo ESG “nella misura in cui ci permette di raggiungere il nostro fine”, puntualizza Trevisan. “Attualmente, con questi rendimenti sul mercato obbligazionario, le obbligazioni governative cinesi offrono un rendimento che si aggira intorno al 2,5% sui cinque anni e forse al 2,75% sui dieci anni. Pertanto, preferiamo investire nei mercati sviluppati, in particolare in Europa e negli Stati Uniti, nonostante il rischio valutario”. Sebbene il mercato obbligazionario cinese sia uno dei più importanti e vasti al mondo, al momento non sta sperimentando flussi importanti e “a guidare i mercati, si sa, sono proprio questi ultimi”, conclude.
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