Tra gli elementi emersi durante l’ultima tavola rotonda dei FundsPeople Talks sul fixed income vi è la complessità dei processi di selezione di questi strumenti dovuta ad alcune peculiarità del mercato asiatico.
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Tra gli elementi emersi durante l’ultima tavola rotonda dei FundsPeople Talks sul fixed income vi è la complessità dei processi di selezione di questi strumenti dovuta ad alcune peculiarità del mercato asiatico.
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Investire nei mercati obbligazionari esteri richiedere un’attenta analisi dei vantaggi e dei rischi che questa scelta porta con sé. Quello cinese, nella fattispecie, è un mercato dalle caratteristiche uniche e complesse (come la bassa correlazione con i mercati obbligazionari globali e la volatilità relativamente bassa rispetto ad altri mercati sovrani), alle quali si aggiungono le importanti sfide strutturali e congiunturali che il Paese sta affrontando. La mancanza di fiducia dei consumatori, la necessità di ingenti finanziamenti per raggiungere gli obiettivi ambientali e le sfide legate alla gestione del debito e al settore immobiliare sono alcuni dei fattori che stanno portando gli investitori esteri a mantenere una view prudente sulla Cina. Eppure, investire nel Dragone è inevitabile data l’inclusione dei suoi bond nei principali indici obbligazionari globali. Nella nona e ultima tavola rotonda dei FundsPeople Talks dedicati al fixed income abbiamo approfondito i criteri da adottare per selezionare un fondo che investe in Cina con l’aiuto di esperti del settore.
“Negli ultimi due anni i bond governativi cinesi sono stati scambiati in un range di 20 punti base al rialzo e al ribasso, il che significa che i loro rendimenti sono rimasti relativamente stabili e hanno mostrato una volatilità più bassa rispetto ad altri mercati obbligazionari sovrani. Ma noi diciamo sempre ai nostri investitori che se non se la sentono di correre rischi in renminbi possono sempre partecipare alla nostra share class in euro o dollari statunitensi e beneficiare del differenziale dei tassi d'interesse e del rendimento obbligazionario della Cina senza dover assumere rischi valutari”, sottolinea Cary Yeung, head of Greater China debt di Pictet AM. È questa la forza del mercato obbligazionario cinese secondo l’esperto. “Credo anche che dobbiamo fare uno sforzo di comunicazione con i nostri investitori all’estero per fare luce sulle misure adottate dal governo. In realtà già sta accadendo e non lo dimostra solo l’inclusione dei bond cinesi nei tre indici già menzionati ma anche ad esempio il fatto che gli investitori stranieri possono usare il regolamento T+3 per acquistare e vendere obbligazioni cinesi in modo più efficiente”, aggiunge. Alcuni settori, come quello automobilistico, del turismo o dell’abbigliamento, stanno registrando aumenti di fatturato e il governo cinese sta cercando di stimolare la spesa dei consumatori per sostenere l'economia, sebbene la mancanza di fiducia della popolazione stia frenando la spesa, afferma Yeung.
Sull’obiettivo di zero emissioni nette di CO2 entro il 2060, il responsabile ricorda che la Cina avrà bisogno di ingenti finanziamenti. “Al momento ci sono circa 320 miliardi di bond verdi in circolazione nel Paese, di cui solo 86 miliardi rispettano l'International Climate Bond Initiative, a causa delle differenze di standard rispetto al resto del mondo. Il governo sta lavorando molto sulla tematica ESG con iniziative concrete come l’introduzione del ‘2022 Green Bond Principle’, che richiede che il 100% dei proventi dei green bond sia destinato allo sviluppo verde. Inoltre, ci sono sempre più fornitori di servizi dedicati alla valutazione ESG delle aziende cinesi, sia a livello nazionale che internazionale”. Elementi che, a detta di Yeung, potrebbero aiutare gli investitori a valutare meglio le aziende e a soddisfare meglio le loro richieste. “Secondo la China Banking and Insurance Regulatory Commission - prosegue - i settori principali che beneficeranno dei green bond includono i trasporti verdi, le industrie emergenti, le energie rinnovabili e il risparmio energetico industriale”.
1/4Ben più dura è l’opinione di Luca Longhi, head of Total Return Portfolio di Banca Generali, secondo cui “la Cina è stata la delusione maggiore del 2023, nonostante le aspettative positive dopo l'apertura e il cambiamento di politica dell'anno precedente”. Sebbene i dati macroeconomici siano incoraggianti, l’esperto intravede ancora ancora molti rischi, soprattutto nel settore immobiliare e nel debito. “Tuttavia, ritengo che la Bank of China stia facendo bene a supportare l'economia e che ci siano ancora opportunità di investimento nei bond cinesi che possono migliorare il rendimento del portafoglio”, aggiunge. Longhi ricorda che l'inflazione non preoccupa come in Europa e la crescita economica della Cina, seppur rallentata, resta positiva. “In generale, la view è prudente c’è fiducia da parte degli investitori nella capacità del Paese di superare le sfide e di offrire opportunità di investimento interessanti”.
A proposito dei processi di selezione delle obbligazioni cinesi, il professionista commenta: “Sono tra i più complessi in assoluto. Ciò è dovuto al fatto che il gruppo di peer non è estremamente ampio e ciascuno presenta peculiarità uniche. Di conseguenza, una due diligence di qualità ha un impatto maggiore in termini di tempo rispetto all’investment grade europeo. Questo perché è richiesto un dialogo continuo con le società e i gestori per capire quali siano i limiti del mandato e dei fondi”. Per Longhi questi limiti possono riguardare l'investimento esclusivo in società statali o la presenza o meno della valuta renminbi in portafoglio. E aggiunge: “Esaminando l'intero processo relativo ai mercati emergenti, abbiamo effettuato investimenti in Cina, ma al momento preferiamo l’India. Per quanto riguarda l’aspetto ESG, è di fondamentale importanza per noi quando cerchiamo di migliorare la qualità del nostro portafoglio. Tuttavia, non è facile da implementare. Per questo, collaboriamo con una società esterna che ci assiste nel monitoraggio quotidiano delle posizioni”.
2/4Per Ciro Vuolo, head of Funds & Solutions Italy di Deutsche Bank, “attualmente non è necessario esplorare i mercati esteri per ottenere rendimenti in un portafoglio obbligazionario. È fondamentale tenere a mente che le decisioni del governo cinese nel 2022 hanno influenzato negativamente il sentiment degli investitori, diminuendo la loro fiducia nei confronti dell’economia nazionale in generale. E la gestione inadeguata delle dinamiche nel settore immobiliare ha ulteriormente aggravato la situazione”. Nonostante l'inflazione stabile, la riapertura dei commerci con la Cina ha fatto sperare in un impulso economico che non si è verificato. “Di conseguenza - prosegue Vuolo - le potenziali opportunità di investimento in questo mercato ci sembrano limitate al momento. Pertanto, per la nostra asset allocation, favoriamo l'investment grade europeo e, quando guardiamo all'Asia, il debito dei Paesi emergenti”. Dal punto di vista della gestione del rischio, la posizione di Deutsche Bank, al momento, è di ridurre l'esposizione verso la Cina.
“Per quanto riguarda l'ESG, è un tema ora centrale e anche noi vogliamo aumentare la quota di investimenti sostenibili per i nostri clienti. Abbiamo definito criteri specifici attraverso una due diligence approfondita per identificare quali fondi possono essere classificati come ESG”, spiega il professionista. Una valutazione, sottolinea, che viene effettuata dal team globale della banca. “Negli ultimi due o tre mesi, il numero di fondi ESG nella nostra lista è cresciuto in modo esponenziale. Ormai è una tendenza che non può essere ignorata”, ammette.
3/4Una “visione molto cauta”, che “deriva dalla consapevolezza del rallentamento economico che potrebbe proseguire, stabilizzando la crescita al 4-5% nei prossimi anni”, è quella che mantengono in Intesa Sanpaolo Vita, come spiega Luigi Di Martino, Asset specialist Fondi, fund selector Rami I, III e VI dell’entità. “Un anno fa eravamo più ottimisti. Speravamo in riforme strutturali in grado di rilanciare il consumo interno e puntavamo sulla spinta derivante dal reopening, ma le aspettative sono state deluse. Per questo non abbiamo incrementato la nostra esposizione nell’area nell’ultimo periodo, mantenendo le posizioni ai titoli cinesi, sia obbligazionari che azionari, e gli investimenti diretti in renminbi”, spiega. “Del resto - confessa Di Martino - investire in Cina è quasi inevitabile, data l'inclusione dei suoi bond in diversi indici globali, sia emergenti che aggregati, che per forza di cose delineano l’universo di investimento anche per gestori non prettamente a benchmark”. Per l’esperto sarà cruciale comprendere se la domanda interna potrà sostenere la crescita futura “dato che la demografia in calo e la diminuzione delle esportazioni (con la scelta di rilocazione produttiva altrove di alcuni Paesi occidentali) rappresentano sfide importanti. Inoltre, alcuni governi locali presentano alti livelli di indebitamento e un più basso livello di trasparenza, il che potrebbe alimentare la volatilità sugli investimenti in tali emittenti”.
Se confrontati con le obbligazioni emergenti investment grade, i bond cinesi mostrano oggi spread creditizi contenuti e rendimenti nominali poco attrattivi. “Tuttavia, tali spread risultano più stabili e meno volatili, contribuendo alla diversificazione e mitigazione del rischio della parte di portafoglio esposta ai Paesi emergenti”, puntualizza il responsabile di Intesa Sanpaolo Vita. “Nella nostra selezione di fondi di investimento, preferiamo affidarci ad asset manager specializzati sui mercati emergenti e con presenza locale. Valorizziamo gestori che operano o hanno operato a lungo in queste aree, date alcune difficoltà peculiari di questi mercati, in primis le problematiche a volte legate alla mancanza di trasparenza e liquidità. Prestiamo anche molta attenzione alla profondità storica delle performance per valutare la reazione del gestore in diversi scenari macro, al fine anche di discernere meglio tra l'effetto derivante da fattori di mercato e quello relativo alla selezione di titoli”, commenta Di Martino. Sul fronte ESG, centrale per la banca, l’esperto crede sia più difficile fare delle valutazioni accurate su questo tipo di mercati, rispetto a quelli sviluppati. “Probabilmente. il profilo ambientale rimane quello più facilmente analizzabile e quantificabile, mentre le valutazioni delle componenti sociali e di governance risultano più complicate da esaminare, data spesso la scarsa trasparenza e l'incertezza sulla qualità dei dati, ma per questi Paesi sono non di meno importanza”, conclude.
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