Dalla spinta normativa al timore greenwashing, gli ESG sotto la lente dei fund selector

Il tema della sostenibilità è ormai consolidato nell’industria finanziaria. Un legame che unisce la ricerca di rendimenti ai nuovi imperativi ambientali, sociali e di governo societario. E un’evoluzione risultato di spinte interne ed esterne: la consapevolezza stessa della clientela e dei professionisti, da un lato, e le normative (a livello europeo nel nostro caso) dall’altro. Su tutto le attese su quali saranno le future sfide dei mercati finanziari e le opportunità aperte da un modo di investire che si è evoluto, negli ultimi anni, in parallelo alla presenza di prodotti (e clienti) più sofisticati.  In questo spaccato si colloca la ricerca condotta da FundsPeople tra aprile e maggio 2022 “Fund Selector e sostenibilità a confronto” e presentata l’8 giugno in occasione del secondo appuntamento con FundsPeople on Stage. L’indagine ha invitato gli attori del mondo della selezione dei fondi a portare un contributo e una riflessione sul proprio ruolo nel sistema ESG, il compito delle società di investimento, l’impulso dato dalla normativa e quali le principali attese e criticità sul settore.

Gli attori del settore

Un primo passaggio ha riguardato le competenze dei clienti che si rivelano ancora “lacunose”. Soltanto un 7% dei rispondenti, infatti, le ha indicate come “complete e aggiornate”, quasi la metà del campione si divide tra “adeguate e migliorabili” (47%) e di “livello base” (46%). A questo si affianca una ancora ridotta presenza di certificazioni ESG tra i fund selector: alla domanda sul conseguimento di una certificazione sostenibile la percentuale di quanti già la detengono è del 14%, con una forte prevalenza di CESGA-EFFAS (il 50% di quanti confermano la presenza di una certificazione).  

Certo è che le società, per parte loro, hanno già portato molto avanti il discorso di selezione degli investimenti sostenibili e responsabili con un 67% di intervistati che sottolinea come il gruppo abbia già qualche analista o team di analisi specializzato in sostenibilità. Di questi, tuttavia, soltanto un 7% utilizza dati propri per il processo di analisi sostenibile, mentre il 95% si affida a provider di rating esterni. E proprio qui si inserisce la prevalenza di un provider come MSCI che ha canalizzato il 55% delle preferenze (la domanda consentiva si selezionare più piattaforme) seguito da Bloomberg (48%) e Sustainalytics, rating provider acquisito da Morningstar nell’aprile 2020.

Fonte: FundsPeople, "Fund Selector e sostenibilità a confronto", aprile/maggio 2022

Si arriva così al peso assunto dai fattori ESG. L’insieme dei tre fattori, nel complesso, è preponderante nelle scelte della maggioranza degli intervistati (57%), ma è il fattore E, l’ambiente, a essere centrale per il 38%, mentre la governance si ferma al 5% e il fattore S, il sociale, non richiama alcuna preferenza (o talmente bassa da non entrare nel computo finale).

Il profilo delle società

Per quanto riguarda l’approfondimento relativo al profilo delle società, emerge dalla ricerca come circa la metà sia già firmataria dei PRI Onu, a cui si aggiunge un 9% di intervistati che si dividono tra quanti hanno già avviato le pratiche (una quota comunque minoritaria, il 2%) e quanti sono in fase di valutazione interna. La sottoscrizione dei PRI ha comunque un peso relativo sulla presenza di fondi sostenibili propri, dal momento che il 59% dei fund selector interpellati risponde affermativamente alla presenza di prodotti SRI “in casa”, in questo spaccato emerge come la maggioranza (42%) disponga di fondi sia a gestione diretta (che comunque attraggono il secondo ordine di grandezza nella risposta) sia fondi di fondi.

Le sette strategie SRI

Il passaggio successivo ha riguardato le strategie prevalenti nella composizione di portafoglio o nella selezione dei fondi. Per elaborare questa domanda si è fatto riferimento alle sette strategie identificate da EuroSIF. Ebbene, l’integrazione ESG emerge come la strategia più utilizzata, con il 65% delle preferenze, seguita dalla selezione ESG tematica, altro grande motore della finanza sostenibile (anche alla luce della precedente rilevazione di FundsPeople e dell’analisi Morningstar presentata lo scorso marzo alla prima edizione di Fundspeople on Stage da cui è emerso come i fondi tematici siano stati i vincitori della pandemia), mentre selezione best in class ed esclusione attraggono il 45% delle preferenze. E qui si intuisce un’altra evoluzione della finanza sostenibile: il famoso “screening negativo” basato appunto sull’esclusione dagli investimenti in società produttrici di armi, intrattenimento per adulti, tabacco e petrolio, seppur sempre presente nelle scelte delle società, non occupa più le prime posizioni, lasciando spazio a strategie più evolute.

Fonte: FundsPeople, "Fund Selector e sostenibilità a confronto", aprile/maggio 2022

A proposito dell’offerta ESG delle società, poi, i protagonisti della survey la ritengono, per lo più, sufficiente ma migliorabile (61% delle preferenze), un 12% la ritiene completa, mentre un 8% si posiziona in maniera critica definendola ancora insufficiente. Su una cosa concordano la maggior parte dei fund selector, ossia la migliore tipologia di gestione per investire in chiave sostenibile è quella dell’investimento attivo, che attira la preferenza del 75% del campione intervistato.

La regolamentazione in ambito sostenibile

Si arriva così ad approfondire il tema legato alle leggi che hanno stimolato l’evoluzione del panorama ESG. In particolari gli interventi in sede comunitaria. Su questo punto il 49% dei rispondenti concorda nel definirli “un buon primo passo verso una classificazione corretta delle attività sostenibili”, mentre la restante metà si polarizza tra quanti ritengono gli interventi normativi ancora insufficienti (26%) e chi “eccessivi” (23%). Sempre in ottica normativa, SFDR e Tassonomia sono per la maggior parte dei rispondenti “Un buon primo passo verso una classificazione corretta delle attività sostenibili” (55%), segue un’ampia percentuale (18%) di quanti ritengono che siano sì, fondamentali, ma aumentino il livello di complessità e, al di là di quanti sposano con entusiasmo l’intervento normativo UE (il 13%) c’è un 15% che mette l’industria in allerta sul rischio greenwashing.

Mentre in merito alle motivazioni che spingono i professionisti in direzione della sostenibilità emerge uno scenario più frammentato, in cui lo storytelling legato all’investimento SRI guadagna il podio delle preferenze, e si distacca di circa 18/20 punti da altre motivazioni che restano comunque fondamentali, in primis il profilo di rischio/rendimento (emerge da diversi studi come i prodotti ESG siano meno rischiosi nel lungo periodo), ma anche la conformità agli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni unite e quella alla regolamentazione.

Criticità e attese sul settore

Queste motivazioni addotte sono alla base delle previsioni di crescita degli asset sostenibili in seno alle società di appartenenza che per la maggioranza degli intervistati (il 61%) aumenteranno in una forbice compresa tra il 35 e il 55%, seguono quanti si aspettano una crescita inferiore al 30%, mentre è molto basso il dato di quanti indicano una crescita futura superiore al 55% (il 3% degli intervistati). Questo dato si presta a una lettura legata al fatto che già molte società abbiano a disposizione fondi sostenibili. In tutti i casi, nessun rispondente indica una prospettiva di crescita nulla.

Restano in ultima analisi le criticità e i paletti che possono inficiare lo sviluppo del settore SRI. La mancanza di omogeneità nei rating e nei dati ESG è la difficoltà riscontrata nell’analisi dei fondi sostenibili dalla stragrande maggioranza dei rispondenti (84%). Segue la mancanza di trasparenza nelle informazioni (34%) e la complessità normativa (29%). E le lacune nella trasparenza vanno di pari passo con la preoccupazione maggiore per l’industria, ossia il greenwashing indicato dal 66% degli intervistati. Si trova, in questo ambito, un dato al contempo indicativo e sorprendente, ossia la “valanga regolamentare” che preoccupa il 55% degli intervistati, che si coniuga in qualche modo con la preoccupazione legata all’aumento dei costi nella struttura di gestione (39%), a quella della carenza di trasparenza di asset manager e aziende (32%) e il “rischio bolla” (26%) che si conferma come una “costante” tra i timori che incidono nella storia della finanza.

Fonte: FundsPeople, "Fund Selector e sostenibilità a confronto", aprile/maggio 2022