In un'asset class disomogenea come l'emerging markets debt, una giusta combinazione di fondi attivi ed ETF può apportare valore aggiunto. Se ne parla nella seconda parte della tavola rotonda organizzata da FundsPeople in collaborazione con Credit Suisse AM.
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Debito emergente è sinonimo di ottimi rendimenti aggiustati per il rischio, ma questo è solo l’input che mette in moto una serie di valutazioni da parte degli investitori in cerca di alpha per il loro portafoglio. Il miglior modo per creare valore attraverso questa asset class è saper selezionare con attenzione i prodotti più adatti a diversificare e a decorellare. Se da un lato i fondi attivi possono garantire le giuste expertise nel bond picking, i prodotti indicizzati consentono di minimizzare i rischi attraverso un paniere diversificato di titoli. Se ne è discusso con alcuni professionisti del risparmio gestito nella seconda parte della tavola rotonda sul debito degli emerging markets.
Diversi studi accademici hanno dimostrato che in un portafoglio fixed income, il debito emergente deve corrispondere almeno al 25% per ridurre di 50-60pb la volatilità rispetto a quella del segmento investment grade statunitense che si aggira intorno al 4% e per ridimensionare la correlazione con i Tresuries. Tuttavia, se consideriamo che il contributo dei Paesi emergenti al Pil mondiale è di circa il 60%, il loro peso negli portafogli globali è ancora troppo basso. È però in atto una controtendenza, lo confermano i flussi in entrata del 2020. Per quanto riguarda l’emerging markets debt in hard currency, costituito sia da titoli sovrani che corporate, ha raccolto tra i circa 10-11[1] miliardi di dollari nel 2020
Un mix di opportunità
Il mercato obbligazionario emergente è particolarmente variegato e presenta caratteristiche diverse tra i vari Paesi e segmenti, per questo motivo, il giusto mix di fondi attivi ed indicizzati permette di creare un’allocazione efficiente, che rispecchi ogni esigenza.
Nell’ambito dei prodotti indicizzati, gli investitori vengono attratti soprattutto dal risk premium. “Crediamo che in questo momento gli indici in hard currency siano particolarmente interessanti, soprattutto alla luce dei limitati costi di copertura valutaria in euro”, commenta Valerio Schmitz Esser, head of Index Solutions di Credit Suisse AM. “Nel caso dei bond in local currency l’investitore beneficia di tassi marginalmente superiori ma deve fare i conti con la volatilità degli FX emergenti”, aggiunge. Ciò non significa, però, che la casa di investimento svizzera sia completamente negativa nei confronti del debito in valuta, la situazione si capovolge se si considerano i bond in renminbi. Questo perché la Cina sta assumendo un ruolo sempre più centrale nel sistema economico mondiale, basti pensare che nell’indice Russel World government bonds il peso della Cina è arrivato al 5% ,ed è destinato solo ad aumentare. “Noi, al momento, prediligiamo come indice di riferimento il J.P. Morgan Euro EMBI Global Diversified Index in hard currency, con cap per country pari al 5%, che permette di evitare sovra esposizioni su determinate emissioni”, aggiunge l’esperto di soluzioni indicizzate.
Gonzalo Borja, head of Fixed Income Emerging Markets di Credit Suisse AM fa notare quanto il mercato obbligazionario emergente abbia una struttura disomogenea, in cui una gestione attiva nella selezione del credito e della duration porta un valore aggiunto. Per quanto riguarda i corporate bond sono caratterizzati da short duration, questa, invece è maggiore nei titoli sovrani, in quanto emettono debito in valuta locale per le scadenze più brevi e in dollari per quelle più lunghe.
“Al momento vediamo maggiori opportunità nel segmento corporate in hard currency, dove risulta esserci un interessante e sostanziale spread pick-up sia nei confronti del segmento investment grade, che nel high yield statunitense”, spiega l’esperto. “Il segmento investment grade degli USA ha ricevuto nell’ultimo anno il supporto della Fed e ha raggiunto un rendimento di circa il 2%, contro gli equivalenti bond emergenti che hanno duration minore, in media di 5 anni, con un rendimento aggiuntivo di circa 100-150 pb”, sottolinea Borja. “Se invece confrontiamo il segmento Investment grade europeo con l’Emerging Markets in valuta forte, raggiungiamo un differenziale di spread di circa 100 pb, con la stessa qualità creditizia. Contrariamente a quanto ci si aspetta, solo il 40% del debito societario emergente è high yield. Molte di queste società hanno un rating BB basato sul country ceiling del titolo sovrano, senza il quale sarebbero BBB. Questo è un effetto che non accade nei Paesi sviluppati”, conclude.
Il punto di vista dei fund buyer
È ormai ben radicata l’idea che fondi attivi e passivi siano complementari tra loro per l’ottimizzazione dell’asset allocation. Tale regola ha ancora più valore nell’ambito del debito emergente, un’asset class variegata, i cui prodotti attivi tendono ad essere più costosi e pertanto l’utilizzo degli ETF può aiutare ad abbattere in parte le alte commissioni.
“Liquidità e costi sono i due aspetti principali da tenere conto quando investiamo in questa asset class”, afferma Damian Barry, responsabile Multi-Asset Multi-Management di Mediolanum International Funds. “Abbiamo sia esposizioni su ETF, che su fondi attivi, perché crediamo che la loro combinazione sia importantissima, dato che mostrano comportamenti diversi in determinate fasi di mercato”, spiega il fund selector. “Fino all’anno scorso gli ETF erano vantaggiosi da un punto di vista dei costi e della liquidità, ma ora abbiamo deciso di ridurre la loro esposizione in favore dei fondi attivi, perché questi ora possono sfruttare le opportunità derivanti dalla maggiore volatilità. Manteniamo comunque una parte in gestione passiva perché può offrire ancora protezione” chiarisce.
Anche Andrea Daffara, fund selector di Sella SGR, non pone solo il rendimento al centro delle sue analisi, ma considera di pari importanza i fattori di liquidità e costo della transazione. “In generale privilegiamo la scelta di gestori attivi quando la strategia è difficile da replicare attraverso indici o le condizioni di liquidità lo sconsigliano: è il caso, per esempio, dell’esposizione ad high yield emergente, che a marzo 2020 hanno risentito del panic selling e per diverse settimane ha visto scambi pressoché congelati per mancanza di compratori, o dell’investimento in strategie che generano storicamente alpha attraverso una gestione attiva della duration o della qualità della credit selection”. Ma anche gli ETF trovano posto nel portafoglio bilanciato emergente gestito da Andrea Daffara. “I mercati emergenti rappresentano un universo investibile così eterogeneo e variegato che l’approccio top-down risulta decisivo nelle scelta delle aree geografiche, dei Paesi e dei settori a cui esporsi”, chiarisce il fund buyer. “Le soluzioni passive ci permettono, quindi, di articolare meglio l’allocazione strategica ai bond emergenti, ma anche di introdurre con costi contenuti elementi di diversificazione e/o decorrelazione, come nel caso dell’investimento in local currency”, conclude Daffara.
L’inizio della pandemia ha sottolineato quanto il mondo sia cambiato; la crisi russa o quella delle tigri asiatiche sono solo un lontano ricordo, oggi i mercati emergenti hanno dimostrato di essere più resilienti che in passato. “A inizio anno le performance dei governativi emergenti hanno subito un peggioramento, questo non per la loro natura di emergenti, ma a causa dell’aumento dei tassi statunitensi e delle aspettative di inflazione”, ha chiosato Marco Mazzetti, responsabile portafogli Fixed Income di Optima Sim. “I corporate bonds emergenti oggi rappresentano l’alternativa migliore, soprattutto in dollari. Ne limitiamo, però, l’uso per non essere soggetti ad un’eccessiva volatilità, mentre favoriamo gli ETF sugli indici obbligazionari emergenti che sono in grado di garantire diversificazione e liquidità”, aggiunge.
Per Lorenzo Campori, fund selector delle Gestioni Patrimoniali di Banca Aletti è importante poter sfruttare l’intera gamma di opportunità, senza particolari restrizioni. “Usiamo strumenti passivi nella parte core dell’allocazione, in modo particolare quelli con limiti di peso sul singolo emittente, ma riteniamo certamente opportuno mantenere posizioni nei fondi attivi per la creazione di alpha”, spiega il gestore. “Privilegiamo fondi ed ETF all’investimento diretto in bond, perché preferiamo il supporto di partner e team di gestione specializzati, anche sul tema della sostenibilità. Al momento prediligiamo prodotti sui titoli sovrani in hard currency, per mitigare i rischi idiosincratici, che potrebbero riflettersi in modo significativo sulle valute, ma abbiamo anche posizioni sul segmento corporate”, conclude.
[1] Fonte: EPFR