In un contesto di mercato in cui l’inflazione è in calo e sia la Federal Reserve che la Banca centrale europea si apprestano a rendere le proprie politiche monetarie più accomodanti, il modello di portafoglio composto per il 60% da azioni e per il 40% da obbligazioni potrebbe tornare a essere considerato una valida alternativa da parte degli investitori. L’equilibrio percentuale di questa formula, che punta sulla correlazione negativa tra equity e bond, è nato per cercare di garantire un rendimento costante nel tempo con un rischio contenuto. Tuttavia, negli ultimi anni, l’inflazione elevata e l’aumento dei tassi di interesse hanno cambiato le carte in tavola, rendendo positiva la correlazione tra azionario e reddito fisso. Nel 2022 il portafoglio 60/40 ha vissuto l’anno peggiore dalla crisi finanziaria globale del 2008, realizzando una perdita di poco inferiore al 16% secondo i dati di Morningstar. Nell’anno corrente, con l’inflazione in discesa e il costo del denaro destinato a ridursi, gli investitori torneranno a fidarsi del portafoglio 60/40? Il tema è stato al centro del Roadshow organizzato da FundsPeople che si è tenuto il 15 febbraio a Bologna, evento in cui gli esperti del settore, con la dovuta cautela, si sono mostrati positivi nei confronti del mix 60/40.
Il portafoglio 60/40, le aspettative nel 2024
Per Diego Cecchin, senior sales manager di Schroders, il portafoglio 60/40 “ha molto senso e potrebbe performare bene nei prossimi tre-cinque anni”. Alla base di questa affermazione, spiega l’esperto, “c’è l’aspettativa che l’inflazione resterà normalizzata”. Tuttavia, prosegue Cecchin, “se dovessimo essere sorpresi da shock esogeni e da un conseguente aumento dell’inflazione, il portafoglio 60/40 è un modello da cui ci si dovrebbe un po’ allontanare”. L’esperto precisa infatti che “l’inflazione molto elevata potrebbe penalizzare sia l’azionario sia l’obbligazionario” e quindi la formula 60/40 non sarebbe più ottimale. Per quel che riguarda la situazione attuale, prosegue Cecchin, “siamo in un momento in cui il mercato è guidato dalle aspettative sulla politica monetaria delle banche centrali. Nel terzo-quarto trimestre del 2023 siamo arrivati al Pivot, ovvero al punto in cui gli investitori hanno iniziato a prezzare il fatto che non ci sarebbero stati ulteriori rialzi dei tassi da parte delle principali banche centrali e da lì l’inflazione europea e quella americana sono scese in maniera lineare”.
1/4Con l’inflazione in calo, Mirco Bongiovanni, responsabile gestione patrimoniali di Cherry Bank, ritiene che “il portafoglio 60/40 potrebbe tornare sui radar degli investitori”. In ogni caso, se l’esperto dovesse costruire un portafoglio di lungo periodo, punterebbe su una maggiore diversificazione. In primo luogo, Bongiovanni spiega che invece di destinare il 40% dell’investimento all’acquisto di obbligazioni di lunga durata, preferirebbe indirizzare “un 20% ai bond con una scadenza più breve, uno o tre anni, o anche al cash”. L’esperto fa poi notare che oltre all’opzione dei titoli di Stato, in linea teorica ci sarebbero anche le “obbligazioni di emittenti privati” da poter inserire in portafoglio. Un’altra possibilità citata da Bongiovanni sarebbe quella di considerare anche “il tema del real estate per favorire la decorrelazione” perché come spiega l’esperto “in contesti di inflazione elevata la correlazione tra azioni e obbligazioni sale e quindi il portafoglio 60/40 tende a soffrire”. Fatta questa precisazione, Bongiovanni aggiunge che inserirebbe “sempre e comunque un po’ di oro in portafoglio, anche e soprattutto in ottica di hedging parziale. Per gli investitori più propensi al rischio, inoltre, potrebbe essere inserita anche una minima parte di Bitcoin, considerando che gli ETF spot sulla criptovaluta approvati lo scorso gennaio dalla SEC l’hanno ulteriormente ‘accreditata’ come classe di attivo”.
2/4Dario Lanzoni, portfolio manager della Cassa di Ravenna, concorda con Bongiovanni e spiega che effettuare “una buona diversificazione, anche con l’utilizzo di qualche strumento un po’ più volatile in dosi minimali, potrebbe avere dei vantaggi”. In ogni caso, Lanzoni ritiene che il portafoglio bilanciato 60/40 “su un orizzonte temporale di 5-10 anni possa essere sempre preso in considerazione”. Ovviamente, prosegue l’esperto, la performance di questo portafoglio dipende anche “dal modo in cui utilizzi quel 60% e quel 40%, ovvero dalla tipologia di azioni e obbligazioni che vengono selezionate nel processo di asset allocation, scelte che ovviamente incidono sul risultato finale”. Nel complesso, quindi, l’esperto si dichiara favorevole all’utilizzo del portafoglio 60/40 ma allo stesso tempo fa notare che la possibilità di utilizzare questa composizione di equity e bond dipende anche dal profilo di rischio. Per un investitore americano il mix 60/40 “potrebbe essere visto come un portafoglio prudente, mentre per un europeo potrebbe risultare già sbilanciato”, conclude Lanzoni.
3/4Edoardo Ferrari, direttore finanza di Fondazione di Modena, fa notare che prima del 2022 il portafoglio bilanciato composto al 60% da azioni e al 40% da obbligazioni “non veniva più preso in considerazione, mentre oggi c’è la possibilità di metterlo di nuovo sul tavolo, facendo alcune riflessioni”. Per questo tipo di strumento, spiega l’esperto, “il tema centrale è quello dell’inflazione perché quando tale variabile aumenta la correlazione tra equity e bond si incrementa e di conseguenza il portafoglio 60/40 può soffrire particolarmente. Bisogna quindi prestare molta attenzione nel calibrare bene la duration”. In ogni caso, nel complesso e con la dovuta attenzione, Ferrari pensa che “il portafoglio 60/40 sia uno strumento assolutamente positivo soprattutto per gli investitori istituzionali come le fondazioni. Poter contare nuovamente su una componente di yield importante nella costituzione di un portafoglio obiettivamente è un fattore non da poco e ci consente di avere una maggiore tranquillità anche nel breve termine”.
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