Secondo l'ultimo sondaggio di BofA tra i fund manager l'inflazione è la principale preoccupazione per i mercati, tornata in vetta alla classifica dei rischi per la prima volta dal febbraio 2020, superando anche il COVID. E questo sentiment sta avendo impatti sul posizionamento dei portafogli.
Unisciti a FundsPeople, la community con oltre 200.000 professionisti dell'asset management. Accedi a tutti i nostri servizi esclusivi: newsletter giornaliera, breaking news, archivio riviste mensili, speciali e libri.
A un anno dallo scoppio della pandemia, il COVID-19 non è più il grande rischio di coda per i mercati. Lo rivela l'ultimo sondaggio tra i fund manager di BofA, secondo cui l'inflazione e un nuovo taper tantrum hanno superato il virus come fonte di rischio principale nel contesto attuale. L’inflazione torna dunque per la prima volta dal febbraio 2020 ad essere la prima preoccupazione tra i gestori.
Ma si tratta di una conseguenza del sentiment degli investitori che è inequivocabilmente rialzista. Un manager su due tra gli intervistati afferma che la ripresa economica sarà a forma di ‘V’. Mese dopo mese dallo scorso maggio, la convinzione di un forte rimbalzo delle attività economiche è cresciuta. Solo il 10% lo prevedeva nel maggio 2020. È un consenso da record per gli investitori per un'economia in rapida crescita. Il 91% si aspetta che sarà così. La migliore previsione economica degli ultimi 25 anni.
E ci sono anche degli altri segnali rialzisti: le prospettive di miglioramento degli utili aziendali sono a livelli storici. L'89% degli intervistati si aspetta che i profitti globali crescano nei prossimi 12 mesi. Un consenso ancora più netto che nel febbraio 2002 o nel dicembre 2009, due picchi di ottimismo del recente passato.
E questo sentiment positivo sta influenzando il posizionamento dei portafogli, con i gestori che aumentano l’esposizione ai ciclici, attuando una rotazione completa dei portafogli completa che è avvenuta in soli 12 mesi. Nella fase attuale c’è un marcato sovrappeso ai settori ciclici (ad un livello elevato anche in prospettiva storico). Spicca lo shift verso le materie prime, gli industriali, le banche e i beni di consumo discrezionali. Il focus si è spostato sugli asset di rischio, come le azioni e i mercati emergenti. Al contrario, un anno fa, il movimento dei portafogli era verso i contanti e le obbligazioni e verso settori come l'assistenza sanitaria, i beni di prima necessità e la tecnologia.
È interessante notare che l'ottimismo è interpretato come giustificato. Molti affermano che siamo in una fase di mercato bull tardiva. Solo il 15% afferma che siamo in presenza di una bolla. Il rischio bolla non è contemplato dagli hedge fund, dal momento che continuano ad aumentare la loro esposizione azionaria netta, che ha raggiunto il suo picco più alto da giugno 2020.
Momento critico per i portafogli obbligazionari
È proprio questa ripresa a forma di ‘V’ dell'economia che invita a pensare che assisteremo ad un aumento dei tassi d'interesse. E prima di quanto ci si attenda. La maggior parte degli intervistati crede che la Fed alzerà i tassi nel febbraio 2023. Un'altra fetta significativa prevede un aumento dei tassi nella seconda metà del 2022. Un manager su due si aspetta un aumento dei tassi nel breve termine. Ed è ciò che sta producendo la caduta nell'irripidimento della curva dei rendimenti.
Tutto questo perché c'è un chiaro consenso sul fatto che ci sarà più inflazione. Il 93% degli investitori si attende prezzi più alti nei prossimi 12 mesi. Ci troviamo in presenza di un altro massimo storico per le aspettative di inflazione. E per la prima volta in cinque anni il consenso è di vedere più crescita e più inflazione. La tendenza finora è stata di crescita, ma non di aumento dei prezzi.
E questo porta il mercato delle obbligazioni a un punto critico. Con i rendimenti delle obbligazioni a livelli così bassi, qualsiasi movimento brusco può innescare una correzione dei mercati. Nessuno crede un Titolo di stato a 10 anni all'1,75% potrebbe avere degli impatti negativi. Ma se salisse di 25 punti base in più... il 43% dei gestori crede che sarebbe sufficiente un decennale USA al 2% per innescare una correzione del 10% nei mercati azionari. Ma come abbiamo detto, ci troviamo fascia critica. Un rendimento al 2% innescherebbe una correzione. Ma se dovesse salire al 2,5%, sarebbe un'opportunità di acquisto per le obbligazioni.