Contributo a cura di Rodolfo Fracassi, amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners.
Per accedere a questo contenuto
Contributo a cura di Rodolfo Fracassi, amministratore delegato e co-fondatore di MainStreet Partners.
L’investimento in infrastrutture verdi è uno dei migliori esempi di come allocare i propri risparmi in maniera sostenibile sia positivo non solo per l’ambiente e la società in cui viviamo, ma migliori anche il profilo di rischio/rendimento del nostro portafoglio.
Ci riferiamo naturalmente agli investimenti infrastrutturali quotati, ovvero quell’ampio universo di titoli più comunemente catalogati come produttori e distributori di energia, comunicazioni, trasporti e infrastrutture sociali. In questo segmento industriale troviamo le aziende che distribuiscono e trasmettono elettricità, acqua, energia proveniente da fonti rinnovabili, società di condotte, ferrovie, social housing, strutture di assistenza sanitaria e formative.
In particolare, le infrastrutture verdi (solare, eolico, idrico) e sociali (housing sociale, cliniche, scuole) per via della loro natura volta all’utilità pubblica, hanno generalmente spiccati profili ESG in virtu’ dell’impatto ambientale e sociale che sono in grado di generare direttamente o indirettamente.
Ma come investire in questa tipologia di infrastrutture?
È possibile farlo sia investendo in emittenti azionari tradizionali, sia attraverso strumenti quotati alternativi, come i fondi chiusi quotati. Il primo universo contava a fine 2018, secondo i dati di Fidante Partners, una capitalizzazione pari a circa 2.500 miliardi di USD e oltre 500 aziende diversificate globalmente e per tipologia di attività. Per quanto riguarda la seconda tipologia, esistono oltre 100 fondi infrastrutturali quotati, principalmente nel Regno Unito e negli Stati Uniti. Tali prodotti investono principalmente in asset reali quali produttori e distributori di energia rinnovabile (principalmente solare ed eolico), infrastrutture sociali, trasporti puliti e social housing.
In un contesto di mercato come quello attuale, la categoria dei fondi infrastrutturali quotati risulta attraente per via dalla stabilità di prezzo, il dividendo predeterminato e la decorrelazione rispetto al mercato azionario tradizionale. Questi veicoli possono definirsi anche “Yield Companies” ovvero investimenti con un predeterminato obiettivo di dividendo, che al momento è generalmente compreso tra il 4% e 6% annuo, in base alla tipologia di attivi sottostanti e valuta di riferimento. Tali rendimenti sono inoltre legati all’inflazione dato che storicamente tende a manifestarsi una correlazione positiva tra inflazione ed aumento dei prezzi dell’energia che le Yield Companies vendono sul mercato.
Per fare un esempio di fondo infrastrutturale quotato, possiamo menzionare The Renewable Infrastructure Group, Yield Company britannica fondata nel 2013 che investe esclusivamente in asset eolici e solari, sia nel Regno Unito che in Francia. Con un portafoglio di 34 parchi eolici e 28 fotovoltaici, TRIG si posiziona come uno dei leader europei in questo mercato.
I movimenti di prezzo di questa tipologia di attivi è meno legata alle pure dinamiche del mercato azionario e dipende maggiormente da fattori quali tassi d’interesse (correlazione negativa), aspettative d’inflazione (correlazione positiva) e fenomeni politici. A nostro avviso quest’ultima variabile è la più importante da tenere d’occhio in quanto un eventuale cambio di regolamentazione può avere impatti rilevanti sul livello di flussi di cassa che questi veicoli sono in grado di generare. In virtu’ di queste caratteristiche, le Yield Companies ed in buona misura anche le azioni infrastrutturali quotate rappresentano un’importante area di diversificazione del portafoglio soprattutto nella fase di correzione del ciclo economico e bassi tassi d’interesse, per ridurre la volatilità dell’azionario e realizzare rendimenti legati all’inflazione.
Allo stesso tempo, l’investitore può affiancare al ritorno finanziario quello sostenibile, avendo l’opportunità di allineare il proprio portafoglio ai valori in cui crede.
Le prospettive del settore
Globalmente tra il 2018 ed il 2050 oltre 11.500 miliardi di USD verranno investiti in beni e servizi per produrre e distribuire energia rinnovabile, di cui 8.400 miliardi saranno orientati all’eolico e al solare, mentre il restante sarà orientato verso altre fonti rinnovabili. Si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione energetica: la produzione di energia da fonti fossili dovrebbe passare dall’attuale 65% al 29% e le fonti rinnovabili (solare, idrico ed eolico) dovrebbero arrivare a valere oltre il 50% del totale. Allo stesso tempo si prevede che i costi delle fonti rinnovabili scenderanno del 70% rispetto all’attuale per il solare e del 58% per l’eolico.
L’Europa dovrebbe attrarre circa il 30% degli investimenti in energia pulita mondiale. Secondo la Commissione Europea, in Europa la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili era l’8% nel 2004. Attualmente ha raggiunto il 18% e nel 2020 dovrebbe raggiungere quota 20% come stabilito dalla strategia “20% by 2020” della Commissione stessa. Paesi quali l’Italia, Svezia, Finlandia, Danimarca hanno già raggiunto l’obiettivo del 20% mentre Germania, Francia e Portogallo sono sulla giusta traiettoria per farlo.