Private Banking, l'ampliamento della gamma è un'esigenza della clientela

Il 2012 sarà ricordato come un anno positivo per l’industria del wealth management, secondo i risultati delle analisi di mercato dell’ufficio Studi AIPB. A confermarlo sono anche gli indicatori di performance del settore in Europa e in Italia con un +4,8% di incremento della ricchezza anche se va segnalato che la crescita è dovuta più alla performance dei portafogli finanziari (+4,4%) che al nuovo flusso prodotto (nel confronto si segnala un net inflow in Europa di 2,1% mentre in Italia è di 0,4%). 

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La fotografia attuale del mercato private italiano comprende la quota servita dal private banking, costante attorno al 50% rispetto alla stima della ricchezza privata italiana (a fine 2012 infatti gli asset private si dividono tra 438 miliardi gestiti dal private banking,  76,9  miliardi gestiti dalle reti di promotori  e, per differenza, 385,1 miliardi gestiti dal retail banking). Secondo le stime AIPB/Prometeia il trend prosegue anche nel 2013 con una crescita di +3,9 % di cui il 3% di effetto performance di portafoglio e solo lo 0,9% di nuova ricchezza prodotta.

Sul fronte dello sviluppo dei modelli operativi,  è possibile affermare che confrontando i trend evolutivi italiani al 2015 con quelli europei si è in presenza di un sostanziale allineamento tra Italia ed Europa.  Sul fronte della penetrazione dei prodotti,invece, l’Italia offre margini di miglioramento rispetto all’Europa. Nel mix di prodotto, l’unico sul quale si evidenzia un maggior livello di penetrazione rispetto all’Europa è quello delle gestioni patrimoniali: in Italia pesa il 34,3% dell’asset mix mentre in Europa si ferma al 22%. 

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Sul fronte degli impieghi, invece, mentre in Europa questa attività ha una penetrazione del 9,7%, in Italia si ferma al momento al 3,5% sebbene in crescita costante dal 2009 quando era al 2,2%. 

Se si sposta lo sguardo dai numeri del passato ai trend di sviluppo futuri, non si può non segnalare che la volatilità dei mercati e il livello crescente di competizione rappresentano oggi due forze critiche che stanno influenzando profondamente il settore private non tanto in termini di variazione delle quote di mercato dei singoli operatori, peraltro sostanzialmente stabili negli ultimi anni, ma nel tipo di servizio di consulenza alla gestione degli asset finanziari e reali delle famiglie private che si sta sviluppando. Chi ha l’ambizione di servire in modo compiuto con un’offerta ricca e di qualità il segmento più alto della clientela private non può pensare ormai di presidiare solo la sfera degli investimenti finanziari; l’ampliamento della gamma è un’esigenza per l’offerta e una necessità per la clientela. Per questo motivo circa il 70% degli operatori di private banking del mercato italiano sta seriamente valutando l’opportunità di aggiungere nel proprio modello l’offerta di servizi diversi da quelli attualmente presenti.

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Ci si domanda, infine, se il private banking stia effettivamente mantenendo la sua promessa al cliente. Per quanto riguarda i clienti private, se fino al 2007 il delegare la gestione della propria ricchezza finanziaria ad un consulente per gli investimenti sembrava essere un’operazione veloce e poco impegnativa, oggi si è consapevoli che controllare un totale ogni semestre non basta. Investire, oggi, significa fare almeno 4 azioni diverse ogni volta, ripetute in un ordine preciso: avere chiare le proprie aspettative relativamente alla propria ricchezza, e, di conseguenza, le proprie esigenze finanziarie; richiedere una presentazione dei prodotti finanziari consigliati; sottoscrivere i prodotti finanziari selezionati avendo ben chiaro il periodo minimo di investimento; condividere infine con il proprio consulente un’attività di monitoraggio periodico che illustri non solo i risultati dell’investimento rispetto agli obiettivi iniziali, ma anche la possibilità di eventuali cambiamenti in funzione di modifiche avvenute nei mercati o negli obiettivi di investimento personali. 

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Questo cambiamento di approccio spiega anche il trend verso la semplificazione portato avanti dai clienti attraverso la diminuzione del numero di istituti di riferimento e registrato nel corso delle recenti indagini di mercato AIPB (2,5 sono le istituzioni bancarie utilizzate in media dai clienti private nel 2001; media che sale a 2,8 nel 2012 per scendere nuovamente a  2,4 nel 2013 con una share of wallet media del cliente private presso l’istituto principale del 65% del suo patrimonio finanziario totale), ma questa scelta non va fraintesa e considerata come un sintomo di una banalizzazione dell’approccio al servizio, bensì il contrario: vengono ridotti gli istituti di riferimento, ma le aspettative verso il servizio rimangono elevate.

Sebbene la soddisfazione per il servizio private ricevuto resti molto alta (in particolare nella selezione della banca principale di riferimento la valutazione sul private banker, nel 56% dei casi, e sull’adeguatezza dell’offerta, nel 39% dei casi, rimangono le motivazioni principali) va segnalato infine che aumenta il numero di clienti che richiede un’opinione aggiuntiva rispetto alla proposta della banca rivolgendosi ad una figura professionale non bancaria, chiaro campanello d’allarme riguardo l’aumento di attese del cliente verso il servizio.