Anima: nel 2023 volatilità ancora protagonista nei mercati

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Pawel Czerwinski (Unsplash)

Il 2023 si configura come “l’anno della recessione globale” (ossia una crescita sotto il 3%), una recessione attesa, contenuta, sia nella portata sia nella durata. Il 2022, tuttavia si è rivelato “l’anno della resilienza della crescita”. Questo perché le attese erano per una decrescita già nel corso di questo anno di forte volatilità dei mercati, forte inflazione, tensioni dovute al conflitto e la lunga “coda” delle chiusure per la pandemia (in Cina). “Quello che si è registrato è stata invece una crescita: per gli USA dell’1,9% e per l’area Euro del 3,3%”, rileva Fabio Fois, head of Investment Research & Advisory, nell’introdurre alla stampa l’outlook 2023 di Anima. Fois ricorda, tuttavia, come tale crescita stia perdendo slancio e ci si attenda un ulteriore rallentamento nel primo trimestre 2023, “una recessione tecnica nel secondo e terzo trimestre, e una modesta espansione nel quarto”.

La premessa è doverosa e dà conto di una delle motivazioni (oltre all’inflazione che si è rivelata strutturale anche a causa del conflitto in Ucraina) alla base delle scelte “aggressive” delle banche centrali. I consumi hanno tenuto (in termini sia nominali sia reali in Europa e Usa) il mercato del lavoro si è rivelato più solido. “Questa resilienza   afferma Fois – si è rivelata particolarmente problematica per le Banche Centrali, che di fatto si sono trovate sole nella battaglia contro l’inflazione. Una lotta che fin da subito era chiaro sarebbe stata impari, a causa della natura largamente esogena dello shock inflattivo”. I mercati, dunque, nel 2023 dovranno ragionare anche sulla “tipologia di disinflazione tra Stati Uniti e area euro”, dal momento che l’indice dovrebbe scendere di più oltreoceano per ragioni “tecniche”.

Il tema inflazione

Le attese sono per una decrescita dell’inflazione USA dall’8,0% su base annua atteso per il 2022 al 3,5% nel 2023, e che l’indice core scenda da 6,2% a 3,5 per cento. Diverso il discorso per l’Europa. “La tipicità dello shock inflattivo energetico – sottolinea l’esperto - è la base dell’isteresi dell’inflazione europea, che la fa atterrare a valori più alti di quella USA”. Cosa può far ridurre questa inflazione? Solo un rallentamento della domanda. “Secondo le nostre stime, l’inflazione headline rallenterà dall’8,5% del 2022 al 5,9% nel 2023, mentre per l’indice core la decelerazione sarà più modesta (da 4,0% a 3,8%) e i rischi sono orientati al rialzo”, si legge nell’outlook di Anima. Da qui, come detto, discendono anche le scelte delle banche centrali “In questo contesto – si legge ancora –, ci aspettiamo che la Fed inizi a tagliare i tassi già nella seconda metà del 2023, mentre per la BCE lo scenario rimane complesso a causa delle incertezze legate alle prospettive dell’inflazione e alla funzione di reazione della Bce”.

Le scelte di allocazione

Dai dati macro si passa, dunque, a determinare le scelte allocative sull’anno che, secondo Filippo Di Naro, responsabile della Direzione Investimenti di Anima, sarà caratterizzato, soprattutto nei primi mesi, ancora da un’intensa volatilità (nonostante il recupero dell’ultima parte del 2022). L’anno che si sta chiudendo, d’altronde, “non è stato semplice”, afferma Di Naro “non tanto per la volatilità del mercato azionario più per quanto è successo sull’obbligazionario, in cui il riaggiustamento ha portato a performance dei mercati molto negative”.  In realtà la seconda parte dell’anno è stata diversa, “i mercati obbligazionari e azionari hanno intravisto la fine di questa fase con una diminuzione della pressione inflazionistica. Per cui si sono avute perfomance positive soprattutto nella seconda parte di ottobre e per tutto novembre”. Un dettaglio, tuttavia, è legato al fatto che il “il mercato tende a prezzare rapidamente le nuove condizioni e ci troviamo a gestire una discreta volatilità”.

Obbligazionario

Il punto sulla parte allocativa, dunque, parte dall’obbligazionario, con un posizionamento più costruttivo sui Treasury che sui Bund, mentre ci si attende che la performance dei BTP resti legata principalmente alla politica monetaria della Bce. “Rispetto al 2022, avremo meno emissioni e il mercato dovrà assorbire una quantità maggiore di bond – afferma di Naro – e questo avverrà in un contesto in cui i pagamenti legati al TLTRO e il potenziale QT potrebbe incidere su quelli che sono gli acquirenti marginali (in particolare le banche centrali) quindi siamo più prudenti”. Il debito emerge si trova in un momento “meno propizio”, tuttavia “un’opportunità d’acquisto potrebbe profilarsi verso metà anno, quando l’economia americana dovrebbe uscire dalla recessione tecnica e la Federal Reserve annunciare il pivot della politica monetaria”. Positiva la view sulle obbligazioni societarie che “beneficeranno tanto del calo di volatilità e pressioni al ribasso sui tassi governativi, quanto della prospettiva di una ripresa economica, dopo una recessione che si confermerà breve e di lieve entità”.

Azionario

Per quanto riguarda l’azionario, come detto, resta alto il tema “volatilità” e Anima si posiziona in un atteggiamento “più prudente” specie sugli utili aziendali. “A oggi il mercato sembra non scontare ancora quello che è un rallentamento leggero dell’economia, quindi dopo i rally degli ultimi mesi ci aspettiamo un po’ di volatilità prodotta dall’incorporazione delle aspettative sugli utili futuri nei primi mesi dell’anno”.

Valute: due temi interessanti

Dopo un anno in cui il dollaro è stato protagonista dei mercati valutari, nel 2023 la fine del ciclo di rialzi della Federal Reserve permetterà il riemergere di trend valutari meno univoci. E Di Naro delinea due temi interessanti: il primo legato a euro contro dollaro, per cui, alla luce di questi cicli di politica monetaria “disallineati”, con la Fed in anticipo rispetto alla Bce, ci si attende “una situazione a livello monetario sia supportiva per l’euro”. Mentre un altro tema riguarda un “cambio cross”: quello del dollaro contro lo yen, moneta quest’ultima che si è molto svalutata in quanto la Bank of Japan è stata molto “dovish” nel 2022. “ Oggi la situazione potrebbe ribaltarsi – spiega l’esperto – perché le aspettative di inflazione in Giappone stanno salendo, e la politica ultra dovish potrebbe terminare nel breve”. Una politica più aggressiva della BoJ ribilancerebbe le politiche monetarie, creando “un vantaggio per lo yen”.