Bicciato (FFS): “Finanza SRI, cambia la sensibilità di operatori e investitori (e c’è maggiore cultura)”

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Francesco Bicciato

Un’edizione che ha dato “una serie di spunti e suggerimenti su come cambia la sensibilità del settore”. Nel commentare l’evoluzione della finanza sostenibile, Francesco Bicciato, direttore generale del Forum per la Finanza Sostenibile, rimanda a una rinnovata attenzione, che emerge non soltanto dagli attori finanziari (siano essi operativi nell’ambito del retail o dell’investimento istituzionale, analisti o associazioni), ma anche dal pubblico stesso, che mostra un livello di cultura sulla finanza ESG più spiccato. La considerazione deriva da un’osservazione diretta dei partecipanti alla 12^ edizione delle Settimane SRI, che ha preso il via il 14 novembre e il 28 novembre, si è concluso con un evento dedicato alle opportunità legate agli investimenti sostenibili delle PMI nell’attuale contesto di “policrisi”. Il punto sulle PMI conclude l’ampio ventaglio di tematiche “diacroniche e sincroniche” che da 12 anni caratterizzano la manifestazione (avviata nel 2012) e spaziano su più piani, investendo la parte risparmiatori e quella investitori. “L’approccio del Forum si basa su ricerche e approfondimenti – spiega Bicciato –. Spesso ci accostiamo a temi complessi attraverso la costituzione di gruppi di lavoro, da cui scaturiscono report che fungono da base per gli approfondimenti in sede di evento”.

Quando si cresce “si è più esposti ad attacchi”

La scientificità dell’approccio è stata al centro del paper sulle dieci argomentazioni contro la finanza sostenibile che ha fatto da filo conduttore per tutte le Settimane SRI. Il motivo di questa “campagna contro”? Secondo il direttore generale sono due, connessi tra loro. In primis lo spostamento della finanza sostenibile “da nicchia a mainstream”, in quanto “quando si cresce si è più esposti ad attacchi”. Da qui deriva la seconda causa “essendo la finanza sostenibile mainstream, volumi crescenti di capitale finanziario vanno verso il settore ESG ed è evidente che vanno a detrimento del finanziamento di altri settori (come ad esempio il fossile)”.  

Istituzionali

Certo, le critiche all’evoluzione finanziaria lato sostenibilità si scontrano anche con una tendenza implicita degli stessi attori a tener conto delle caratteristiche ESG nel loro processo decisionale. Questo è evidente lato investitori istituzionali, in cui l’orientamento “per tutte e tre le categorie (assicurazioni, investitori previdenziali e fondazioni) è verso un incremento dell’investimento sostenibile”. Bicciato indica come la tendenza permanga costante, pur in misura minore rispetto agli anni scorsi (“con il rimbalzo post Covid”). E i dati, a detta dell’esperto, sono “eloquenti”. “In base alle nostre ricerche, per quanto riguarda gli investitori previdenziali, la quota di quanti destinano la quasi totalità del proprio patrimonio agli investimenti sostenibili è passata dal 51 al 63% rispetto alla rilevazione 2022. È un incremento impressionante. Si potrebbe dire che ‘si è rotto un tabù’: sono stati smentiti i vari elementi frenanti per la finanza sostenibile, mi riferisco ad esempio alla questione dei maggiori costi e minori rendimenti”.

La tendenza delle Fondazioni procede in maniera più graduale con un dato stabile sul numero di enti che dichiarano di effettuare investimenti sostenibili. Tuttavia, “a parità di patrimonio investito, la consapevolezza dell'opportunità di un approccio più orientato ai criteri ESG è maggiore. Inoltre, aumentano le Fondazioni che applicano le strategie SRI a una porzione di patrimonio superiore al 25 per cento. In particolare, il focus di quest’anno è stato sugli investimenti immobiliari sostenibili: la cosa interessante è che è il 66% delle fondazioni a essere coinvolte nel settore e di queste quasi il 45% include i criteri ESG”.

Il dato tra asset owner e asset manager

Direttamente collegato agli investimenti degli istituzionali, c’è poi il tema del dato, con una connessione anche alla differenza di approccio tra asset owner e asset manager.  Bicciato sottolinea come il problema non sia la mancanza dei dati, “i dati ci sono, ma sono disomogenei e la loro qualità spesso non riflette la sostenibilità dell’investimento”. Da qui la fallacia insita in una strategia di investimento basata su dati non affidabili o non coerenti dal punto di vista della sostenibilità, per cui si rischia di “incappare più facilmente in problemi di greenwashing”.

La questione dei dati, afferma il DG, interessa soprattutto gli istituzionali, “perché è sulla base di questi dati che decidono le politiche di investimento”. Si rileva però un generale miglioramento da parte dei data provider. “Questo è un aspetto interessante, perché nel momento in cui aumentano volume e propensione all’investimento responsabile, aumenta l’interesse da parte dei data provider a fornire una maggiore quantità di dati. Quello su cui bisogna insistere è la qualità”. Un elemento critico, a detta di Bicciato, sono le PMI, “perché spesso considerano la raccolta dati come un costo eccessivo. Se un investitore vuole puntare su questi soggetti, deve mettersi nelle condizioni di produrre i dati”. Da qui la necessità di avere dei professionisti “all’interno dell’organizzazione in grado di interpretare i dati e renderli coerenti con la politica di investimento che si è scelto di attuare”.

Gli sviluppi futuri

L’esperto insiste sul punto, in quanto nevralgico anche per una comprensione degli sviluppi futuri del settore oltre che del rapporto tra i vari attori che si interfacciano sulla sostenibilità. Da qui un discrimine importante in merito al soggetto che seleziona il dato. In molti casi i clienti dei data provider sono gli asset manager, “il tema, quindi, è l’utilizzo di dati che siano coerenti con le politiche di sostenibilità sulle quali l’asset owner ha basato il suo mandato. L’asset owner delinea l’investimento e l’asset manager non solo lo mette in pratica, ma si posiziona in maniera sempre più proattiva”. Da qui, in conclusione, la necessità di accompagnare le aziende con un processo di engagement volto a mantenere ampio l’universo investibile. Questo approccio, conclude Bicciato, “consente di superare il rischio di dover ricorrere al divesting. Aziende che oggi non sono investibili, con una politica ESG credibile definita nel tempo, e con la rimozione degli ostacoli verso una piena sostenibilità potrebbero diventarlo”.