COP26 oltre le promesse, dalle decisioni politiche agli investimenti

Cop26, foto Pexels
Cop26, foto Pexels

Le decisioni prese al termine della COP26 di Glasgow hanno deluso alcuni, ma ci sono motivi per essere ottimisti. La COP26 ha contribuito infatti ad aumentare la consapevolezza a livello globale della necessità di combattere il cambiamento climatico. Questo a sua volta dovrebbe creare una domanda sempre maggiore di investimenti green, un percorso estremamente incoraggiante. Certo è vero che gli impegni presi al vertice di Glasgow avrebbero potuto spingersi molto oltre, ad esempio puntando sui finanziamenti dei Paesi ricchi per aiutare quelli più poveri ad adattarsi ai cambiamenti climatici.

Ciò tuttavia non impedirà l'intervento di finanziamenti e investimenti, ad esempio attraverso i green bond i cui proventi possono essere destinati alla lotta ai cambiamenti climatici nei Paesi in via di sviluppo. Un fattore che dimostra come, mentre c'è molta inerzia in queste complesse negoziazioni internazionali, ve ne è poca nel mondo degli investimenti: gli investitori possono agire ora, attraverso prodotti di investimento innovativi.

I passi avanti sul fronte delle emissioni

A essere incoraggiante è anche la posizione presa dai Paesi hanno accettato di eliminare gradualmente i sussidi legati ai combustibili fossili, attualmente pari a 5,9 mila miliardi di dollari l'anno, e di ridurre (ma non eliminare) il carbone. È anche positivo che si siano impegnati a "rivisitare e rafforzare" i loro obiettivi di riduzione delle emissioni per il 2030 entro la fine del 2022, che devono essere allineati con l'obiettivo di 1,5 ° C dell'accordo di Parigi. Un altro aspetto positivo della COP26 è che l'obiettivo di 1,5 gradi è ancora, tecnicamente, a portata di mano, tenendo conto degli impegni aggiuntivi presi prima e durante il vertice di Glasgow.

Un'altra ragione per mantenere un cauto ottimismo è la forte attenzione data dalla politica al mercato del carbonio, che oggi rappresenta il 45% delle emissioni globali e si prevede che coprirà l'80% di tutte le emissioni nel prossimo futuro. Ci sono stati alcuni sviluppi interessanti con la e a Glasgow è emersa la volontà di interconnettere tutti i mercati del carbonio esistenti e sforzarsi di definire un prezzo globale, anche se la nascita di un mercato del carbonio standardizzato a livello globale è ancora lontana. Ma il mercato del carbonio sta sicuramente emergendo come una pietra angolare delle politiche per ridurre le emissioni di carbonio.

Nel corso della COP26 cento paesi hanno firmato un accordo per ridurre le emissioni di metano del 30% entro il 2030. Un risultato importante, perché il metano è 86 volte più potente della CO2 nell'intrappolare il calore della terra e un fattore molto positivo a lungo termine poiché le emissioni di metano scompariranno molto più velocemente delle emissioni di CO2, ma nel breve termine (prossimi 20 anni) l'impatto è molto alto. La battaglia per le emissioni è già una battaglia a breve termine, poiché restano solo pochi anni per ridurle.

Anche l’accordo per fermare la deforestazione entro il 2030 è stato rilevante, perché indica che vi è una crescente consapevolezza che il beneficio di porre fine alla deforestazione è di gran lunga maggiore di quello di piantare nuovi alberi. Questo assunto potrebbe portare alla definizione di nuove politiche di esclusione applicabili ai prodotti di investimento e, comunque, incoraggerà sicuramente gli investitori a cercare soluzioni finanziarie volte alla tutela della biodiversità.

Le decisioni politiche a supporto degli investitori

Sebbene questi siano sviluppi incoraggianti, la COP26 non cambierà molto nel complesso per gli investitori che si sono già portati avanti dal punto di vista della sostenibilità: il phasing down del carbone è già una realtà nei portafogli degli ultimi anni e le soglie di esclusione stanno diventando sempre più severe. Allo stesso modo, i veicoli di investimento ESG escludono già molte attività umane dannose.

La politica dovrebbe supportare le azioni degli investitori. In particolare, il settore finanziario ha bisogno di una rigorosa regolamentazione dei dati per prevenire il greenwashing, oltre che di una normativa che determini nuovi modi di rendicontare le entrate e le spese in conto capitale che sono contrassegnate come green.

Le azioni dei responsabili politici sono anche essenziali per determinare i cosiddetti ‘rischi di transizione’, ovvero i rischi per la valutazione degli asset legati a nuove norme e regolamenti, e prezzi del carbonio più elevati, che a loro volta modellino la valutazione del rischio degli asset manager.