Errori di politica monetaria: alcune lezioni che si possono apprendere dal passato

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Daniela Holzer, foto concessa (Unsplash)

Nelle ultime settimane, diversi gestori internazionali hanno avvertito del rischio di un errore di politica monetaria. Si tratta di un'insidia particolarmente temuta dagli investitori perché, storicamente, ha generato effetti molto significativi sui mercati. Ad oggi la visibilità sulle prossime mosse delle Banche centrali è limitata. Nel caso della BCE, questa poca chiarezza è stata evidenziata da alcune case di gestione, le quali hanno affermato in modo esplicito che il suo presidente, Christine Lagarde, "non ha fatto un grande lavoro nel comunicare la posizione dalla BCE".

Condivide questa opinione Chris Iggo, CIO Core Investments di AXA Investment Managers. Secondo l' esperto i mercati sono stato lasciati con l'idea che i tassi in Europa quest'anno potrebbero salire. "C'è una vasta gamma di opinioni sui tempi della prima mossa. C'è anche incredulità tra gli economisti che la BCE stia anche solo contemplando un aumento dei tassi", riconosce. Un errore di politica monetaria può venire da mosse non tempestive. Ed è questo che preoccupa gli investitori.

"Le banche centrali devono mantenersi in una delicata posizione di equilibrio per non commettere un errore di politica monetaria. Aumentare i tassi troppo (o troppo velocemente) soffocherà l'economia, poiché i fallimenti saliranno alle stelle (a causa degli alti livelli di debito). Ma, d'altra parte, l'inflazione potrebbe prendere piede se troppo lenta. La storia dimostra che l'inflazione può essere tremendamente difficile da controllare una volta che ha preso piede", sottolinea Toby Gibb, global head of Investment Directing - Equities di Fidelity International.

Banche centrali messe all'angolo

Nell'ambiente attuale è chiaro che, dopo decenni passati a preoccuparsi di un'inflazione bassa piuttosto che eccessiva, i banchieri centrali sono stati messi all'angolo dai persistenti aumenti dei prezzi derivanti dalla riapertura dell'economia globale post-COVID. Con un'inflazione media del 7% negli Stati Uniti, del 5,1% nell'eurozona e del 5,4% nel Regno Unito, gli investitori hanno perso la fiducia che questa ripresa globale dell'inflazione sia solo transitoria. Tutto questo ha fatto impennare i rendimenti dei titoli di stato, con i Treasury americani a 10 anni che hanno raggiunto i massimi di due anni a gennaio e perdite registrate anche nei mercati delle obbligazioni aziendali.

"Le banche centrali hanno poco spazio di manovra oggi. Rischiano di commettere un errore di politica monetaria potenzialmente dannoso nel 2022", avverte Gordon Shannon, portfolio manager di TwentyFour AM, affiliata di Vontobel AM. Come spiega, se guardiamo ad alcuni famosi errori di politica monetaria delle banche centrali, possiamo evidenziare alcune potenziali problematiche.

2013: il Taper Tantrum della Fed

All'indomani della crisi finanziaria globale, la Federal Reserve statunitense ha sostenuto i mercati acquistando circa duemila miliardi di dollari di titoli del Tesoro e altre attività finanziarie. L'uso dell'allentamento quantitativo (QE) come strumento di politica pluriennale è stato un approccio nuovo all'epoca, che ha triplicato la dimensione del bilancio della Fed prima del 2008.

Nel maggio 2013, l'allora presidente dell'Istituto, Ben Bernanke, ha suggerito che la Fed avrebbe iniziato a rallentare il ritmo dei suoi acquisti. Non è stata fornita una data per la mossa ma, poiché gli operatori di mercato si erano abituati (o forse dipendevano) dal sostegno della Fed. I mercati obbligazionari hanno reagito male all'annuncio e il rendimento dei Treasuries USA a 10 anni è schizzato in alto, raggiungendo il 3% a settembre. Era all'1,92% prima dei commenti di Bernanke.

"I rendimenti del Tesoro sono tornati ai loro livelli pre-tapering in tempi relativamente brevi - in effetti, sono scesi mentre la Fed stava mettendo in atto il tapering, tra dicembre 2013 e ottobre 2014 - ma non prima di aver causato danni significativi, poiché la reazione ha colpito l'intera asset class, dal debito societario investment-grade al reddito fisso dei mercati emergenti. Le turbolenze del mercato hanno probabilmente anche convinto la Fed a ritardare l'inizio del tapering, un lusso che le banche centrali non possono sempre permettersi", spiega.

2008: rialzo dei tassi della BCE

Il luglio 2008 è stato una perfetta dimostrazione di cosa può succedere quando l'ossessione per l'inflazione domina la politica delle banche centrali. La crisi finanziaria globale era probabilmente appena iniziata a quel punto. Tuttavia, i mercati del credito erano già crollati e la crescita economica in Europa era appena positiva. Sia la Fed che la Banca d'Inghilterra avevano reagito alla crisi incipiente con diversi tagli dei tassi d'interesse. L'inflazione nella zona euro, invece, era al 4%. Questo era il doppio dell'obiettivo della BCE. Così il suo presidente, Jean-Claude Trichet, ha deciso di aumentare i tassi di base dello 0,25 per cento al 4,25 per cento.

"Questo apparente disinteresse per il deterioramento della situazione finanziaria in generale si pensa sia dovuto principalmente alla posizione dominante della Germania alla BCE e alla profonda paura del Paese dell'inflazione dopo il distruttivo episodio di iperinflazione nella Repubblica di Weimar negli anni '20. La BCE ha anche trascurato che l'inflazione è stata alimentata dall'aumento dei prezzi del petrolio, mentre l'inflazione di base (la misura più popolare tra le banche centrali oggi, che esclude l'energia e il cibo) era inferiore al 2%. Nel giro di due mesi, l'economia globale è crollata e la BCE ha rapidamente invertito la rotta, tagliando il suo tasso di rifinanziamento principale all'1% entro la metà del 2009", ricorda Shannon.

1929: l'amore della Banca d'Inghilterra per l'oro

A volte l'errore della politica è quello di non adottare abbastanza rapidamente nuove misure. Ai tempi della Grande Depressione, il governatore della Banca d'Inghilterra Norman Montagu era considerato abile nell'anticipare i rischi. Aveva suonato l'allarme negli anni '20 quando il mondo stava cominciando ad esaurire le riserve d'oro. Ed aveva anche avvertito dei pericoli della bolla del mercato azionario statunitense. Tuttavia, la sua eredità storica è macchiata dalla sua ferma convinzione dei benefici del gold standard. Cioè: il sostegno di tutta la carta moneta da parte del metallo prezioso.

"All'inizio del XX secolo, tutte le principali economie del mondo erano basate sul gold standard. La rigidità di quel sistema è oggi considerata una causa fondamentale della catastrofe economica che colpì l'Europa e gli Stati Uniti durante la Grande Depressione. Quando gli investitori furono presi dal panico e cominciarono a scambiare la carta moneta con l'oro, la Banca d'Inghilterra rischiò di rimanere senza. Alla fine, ci volle il crollo nervoso di Montagu nel 1931 perché il Regno Unito abbandonasse il gold standard. Questa rottura con il legame con il metallo prezioso era necessaria per dare ai politici i nuovi strumenti di cui avevano bisogno per stimolare le loro economie per l'uscita dalla Grande Depressione", conclude.