Tetto del debito: che cos’è e perché mette in difficoltà l’economia e i mercati

Nik Shuliahin, Unsplash
Nik Shuliahin, Unsplash

Nel primo trimestre dell’anno, l’evento che ha fatto salire la volatilità di mercato è stata la crisi finanziaria che ha colpito prima gli USA e poi l’Europa. A metà del secondo trimestre, ciò che desta preoccupazione è la possibilità che il Congresso americano non raggiunga un accordo sul tetto del debito. In questa voce del Glossario FundsPeople spieghiamo cos’è il tetto del debito e perché è importante per l’economia e i mercati finanziari.

Che cos’è?

Il tetto del debito (in inglese, debt ceiling) è un limite legislativo, introdotto nel 1917, all’ammontare di debito pubblico che il Tesoro degli Stati Uniti può assumere, in quanto fissa l’importo massimo che il governo federale può pagare per il debito già emesso.

L’obiettivo iniziale del tetto del debito era semplificare la procedura di indebitamento del Tesoro, mantenendo però una certa disciplina sui conti pubblici.

Qual è il limite?

Il tetto del debito è stato alzato in diverse occasioni. L’ultima volta è stato fissato a 31.400 miliardi di dollari e questo livello è stato superato il 19 gennaio 2023. Una volta oltrepassata tale soglia, Janet Yellen, Segretario al Tesoro, ha chiesto formalmente al Congresso di raggiungere un accordo per alzare questo limite entro il 1° giugno.

Finora l’innalzamento del tetto del debito aveva rappresentato una mera formalità legislativa: solo dal 1960 è stato approvato ben 78 volte, 49 durante una presidenza repubblicana e 29 durante una presidenza democratica. Ma l’estrema polarizzazione del Congresso rende oggi più difficile raggiungere un compromesso. “Un default degli USA non è nell’interesse di nessuno a Washington, ma c’è chi ha tutto l’interesse a strappare le massime concessioni possibili in cambio dell’innalzamento del limite del debito”, sostiene Libby Cantrill, economista di PIMCO.

Cosa succederà se non verrà raggiunto un accordo?

Come indica Lizzy Galbraith, economista politica di abrdn, “se il tetto del debito non venisse alzato prima del giorno X, situazione poco probabile ma possibile, il governo sarebbe costretto a effettuare forti tagli alle spese, ad esempio riducendo o sospendendo i pagamenti di pensioni e prestazioni, e le entrate dei cittadini finirebbero per risentirne”.

In questo caso non si avrebbe solo un impatto significativo in termini di PIL, tra l’altro in un momento in cui la maggiore economia mondiale è a rischio di recessione. Si verrebbe anche a creare forte volatilità dei mercati obbligazionari e azionari, nonché dello stesso dollaro.

Per quanto riguarda le ricadute sull’economia, François Raynaud, fund manager multi-asset & overlay di Edmond de Rothschild AM, precisa che “le stime relative all’impatto delle decisioni della Casa Bianca sulla crescita annualizzata del PIL reale statunitense nel terzo trimestre 2023 sono comprese tra -0,3% e -6,1%”.

E aggiunge: “Dato che gli Stati Uniti rappresentano il 15% del PIL mondiale, il contributo negativo alla crescita globale potrebbe arrivare a ben -0,9% nello scenario più grave, anche se più improbabile”.

In termini di impatto sui mercati, sarebbe lecito aspettarsi un’impennata dei rendimenti dei Treasury con un corrispondente calo dei prezzi, a seguito del crollo della fiducia degli investitori. Questa eventualità è già scontata dai CDS (credit default swap) sul rischio sovrano USA, che hanno registrato un allargamento degli spread a quasi 180 punti base, di poco inferiore ai massimi storici.

“Oltre all’aumento dei costi di finanziamento del debito, la volatilità dei mercati danneggerebbe la fiducia dei consumatori e delle imprese, costringendo le aziende a rivedere i piani di investimento e spingendo le famiglie a risparmiare a titolo precauzionale. Le banche centrali entrerebbero in azione. La Federal Reserve sospenderebbe il quantitative tightening e taglierebbe i tassi di interesse, seguita dalle autorità monetarie delle altre economie avanzate”, è la previsione di Schroders.

È già successo in passato?

Se non venisse raggiunto un accordo per alzare il tetto del debito prima del 1° giugno, gli Stati Uniti finirebbero in default tecnico, con tutte le conseguenze del caso. Per ora è successo solo una volta che il Congresso non raggiungesse un accordo prima della scadenza: nel 1979 gli USA si trovarono in condizioni di default tecnico e il governo fu costretto a rinviare di qualche giorno i pagamenti ai creditori. Nel corso degli anni si è rischiato diverse volte che non venisse raggiunto un compromesso entro il termine e in alcune circostanze è stato necessario varare misure straordinarie per evitare di superare il limite.

“Ogni crisi del tetto del debito genera instabilità sul mercato finanziario. Inoltre, questi episodi ricorrenti hanno creato grandi difficoltà al governo federale, costringendolo a dipendere dalle decisioni dell’ultima ora del Congresso per assicurare il rimborso pieno e puntuale del debito pubblico”, affermano gli esperti di Scope Ratings.

Ci sono altri Paesi al mondo con un tetto al debito?

Il caso degli Stati Uniti è praticamente unico al mondo. Come sottolinea Galbraith, “sono pochissimi i Paesi che hanno stabilito un limite legislativo per il debito pubblico e quei pochi cercano attivamente di evitare conflitti politici”.

In Europa cita l’esempio della Danimarca: “È l’unico Paese con un tetto del debito, che però è stato appositamente fissato a un livello estremamente alto per evitare gli scontri che si producono a Washington. Nel 2021 il debito pubblico danese era pari al 14% del massimo consentito”.