I mercati di frontiera sono un sottoinsieme dell'universo dei mercati emergenti, definito in modo approssimativo da rating creditizi bassi e da mercati mobiliari illiquidi e omogenei, con i titoli di Stato che rappresentano generalmente l'unica classe di attivi investibile. Di conseguenza, pochi titoli vengono inclusi negli indici dei mercati emergenti, il che rafforza la necessità di un approccio attivo. “Il lato positivo è rappresentato dai rendimenti estremamente elevati”, spiegano gli analisti di DPAM. L’insieme dei mercati di frontiera è estremamente eterogeneo: si estende a tutti i continenti e comprende economie di ogni tipologia e dimensione, da colossi in difficoltà come la Nigeria o il Pakistan alle minuscole Bahamas, animate dal turismo, e al Mozambico, titano emergente degli idrocarburi. “La diversificazione offerta contribuisce a limitare il rischio dell'asset class e rappresenta un ulteriore vantaggio dell’approccio attivo, considerando che gli indici tradizionali detengono solo una frazione dell'intero universo dei mercati emergenti”, spiega il gestore.
Ad esempio, l’economia sudafricana deve affrontare una serie di sfide strutturali e la necessità di riforme è più urgente che mai. Come spiega Andrew Rymer, CFA senior strategist, Strategic Research Unit, Schroders, la crisi energetica si sta facendo sempre più grave e ai problemi strutturali di lungo periodo si aggiunge il rallentamento del quadro ciclico dell’economia: “i prezzi delle materie prime sono in calo a causa del deterioramento del contesto esterno, mentre la domanda interna rimane debole, ostacolata dalla carenza di energia e dall’aumento dell’inflazione e dei tassi di interesse. In questo contesto, le società di diversi settori hanno annunciato una riduzione degli utili”.
Ma attenzione, i mercati di frontiera hanno due variabili che giocano a loro favore. Prima di tutto i tassi. Dopo anni di politiche monetarie ultra-espansive, le Banche centrali del mondo sviluppato sono state costrette a un repentino cambio di rotta. La ragione che ha portato i governatori ad alzare i tassi d’interesse è da ricercare nel ritorno dell’iperinflazione, a livelli che non si vedevano da 40 anni. C’è un aspetto che molti investitori spesso tralasciano: l’inflazione oggi è un problema dell’Occidente. Le autorità monetarie dei Paesi emergenti, infatti, hanno agito in modo proattivo per contenere le pressioni inflazionistiche. “Il loro giocare d’anticipo ha permesso di ancorare le aspettative sulla traiettoria dei prezzi al consumo, mettendo le rispettive economie nelle condizioni di evitare shock estremi”, spiega Paolo Paschetta, equity partner, country head di Pictet Asset Management.
La seconda variabile è il dollaro: condizione necessaria per osservare un apprezzamento delle valute locali è un dollaro più debole. A partire dalla crisi finanziaria globale del 2008-2009, il biglietto verde è salito incessantemente, in particolare in riferimento alle divise emergenti. Rispetto al paniere delle principali divise internazionali, tra giugno 2008 e novembre 2022, il dollaro si è apprezzato di quasi il 50% su base ponderata per gli scambi. “Questo è stato un fattore negativo per i mercati emergenti che, essendosi finanziati in dollari, hanno visto aumentare costantemente l’onere del debito. Riteniamo che il trend del dollaro si sia ora invertito e che il biglietto verde abbia iniziato una fase di declino secolare”, spiega Paschetta.
Secondo Anthony Kettle, senior portfolio manager, RBC BlueBay, un altro sviluppo interessante riguardo ai mercati emergenti, è che si prospetta un potenziale condono del debito per l'Ucraina. “Il Fondo monetario internazionale ha pubblicato l’analisi di sostenibilità del debito ucraino, ritenendo necessaria una futura ristrutturazione del debito. Data la natura estrema della situazione nel Paese, causata dall’invasione russa, riteniamo che i creditori ufficiali potrebbero unirsi agli investitori obbligazionari per coprire una parte della riduzione del debito”.