Inflazione e scelte (sofferte) delle banche centrali, quali effetti sui portafogli

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Emile Seguin (Unsplash)

Il 24 è scattato il primo mese dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. E nelle ultime settimane c’è una frase che accomuna i commenti degli esperti del risparmio gestito italiano: “Le tensioni geopolitiche non si fermano”. Appunto dalle “tensioni” scaturite da quanto avviene in Europa e si riflette sulla scena internazionale, emergono scenari incerti per i portafogli, anche alla luce della pesante eredità dell’inflazione e delle scelte che le banche centrali sono tenute a compiere in un momento di fragilità di ordine politico, finanziario e (purtroppo) bellico.

Banche centrali e inflazione

Nonostante le rassicurazioni del presidente della FED, Jerome Powell, nei prossimi mesi i mercati dovranno scontare ben cinque rialzi. Questo avrà delle conseguenze in termini di liquidità, utili delle aziende con “un potenziale calo soprattutto per i settori ‘growth’”, spiegano da Fundstore, piattaforma specializzata in investimenti su fondi comuni. E se da un punto di vista borsistico, storicamente le crisi legate ai conflitti geopolitici si sono risolte “nel giro di poco tempo” Fundstore riporta l’opinione di alcuni gestori Bluestar, per cui “sul breve termine assisteremo a una de-escalation militare e finanziaria, mentre sul medio-lungo periodo quanto successo segnerà una nuova fase degli assetti geopolitici e andrà ad aggravare la situazione di scarsità delle materie prime, creando ulteriori ‘supply-bottleneck’ ed effetti inflattivi”. Secondo gli esperti, per comprendere quanto e quando la situazione si normalizzerà “occorre monitorare il mondo obbligazionario”.

Anche il team di analisi di Algebris sottolinea che i livelli che presentano “valori di inflazione più alti e i tassi di interesse più bassi negli ultimi 25 anni” non possono coesistere a lungo. Gli esperti ricordano come, mentre la FED e la Banca d’Inghilterra “hanno agito aumentando i tassi di interesse a breve termine”, per la BCE un intervento troppo tempestivo potrebbe rappresentare un “passo eccessivo”. Nonostante ciò Francoforte ha avuto un atteggiamento più da “falco” nell’ultima riunione.

L’effetto sui mercati

Le decisioni della FED, che procederà con rialzi dei tassi superiore a 25 punti base in una o più riunio­ni, hanno avuto un effetto “palpabile” sui mercati dal momento che, come riporta GAM (Italia) SGR “l’indice obbligazionario Bloomberg Global Aggregate perde oltre il 6,5% da inizio anno e l’11% dai massimi di gennaio 2021”. Ebbene, sottolinea Paolo Mauri Brusa, gestore del team Multi Asset Italia della società, “si tratta del più profondo bear market dei titoli obbligazionari globali dal 1990, data in cui è stato lanciato l’indice”. In questo scenario le stime sul mercato delle obbligazioni sono per un crollo di oltre 2.600 miliardi di dollari in poco più di 13 mesi: “Una cifra enorme – afferma Brusa – soprattutto se si considera che governativi e corporate ad alto merito creditizio sono detenuti in larga parte da fondi pensione, banche, assicurazioni e risparmiatori con bassa propensione al rischio, quindi molto sensibili a perdite sui loro in­vestimenti”.  

L’azionario poi, continua la sua corsa in territorio negativo (“con l’MSCI World inferiore di oltre il 6% dai valori di fine 2021”) e questo si riflette sia sui consumatori, che vedono ridurre ricchezza e capacità di acquisto, sia sulle imprese. “Occorre quindi prestare molta attenzione non solo alla componente gover­nativa, ma anche a quella corporate perché i tassi di default potrebbero aumentare velocemente”, dice Mauri Brusa indicando come a trarre vantaggio del clima di incertezza sia stato “soprattutto il settore tecnologico (in particolare i FAANG) che, pur essendo più sensibile al rialzo dei rendimenti, ha sovraperformato tutti gli altri settori”.

Come posizionare i portafogli?

Generare un rendimento superiore all’inflazione diventa perciò l’obiettivo centrale per i portafogli, secondo Algebris. “Anche supponendo che si avvicini al 3%-4% entro la fine dell’anno”, scrivono gli esperti “non vi sono molti asset in grado di generare rendimenti più elevati. Con l’interruzione del Quantitative Easing, inoltre, molte obbligazioni restano soggette a ulteriori rivalutazioni al ribasso”. L’attenzione viene portata dunque sulle obbligazioni finanziarie subordinate, che non hanno mai fatto parte del QE “e, pertanto, non sentiranno la mancanza del venir meno del massiccio piano di acquisti da parte della banca centrale”. Per Algebris, nel complesso, “le banche e le istituzioni finanziarie globali (in particolare quelle europee) racchiudono molto valore al loro interno, potendo beneficiare dell’inflazione e dell’aumento dei tassi di interesse a breve e a lungo termine”.

Aumento dei “diversificatori” e riduzione degli asset rischiosi

Per proteggere i portafogli dalle conseguenze del conflitto (e dal declassamento del debito di Mosca a “spazzatura”) Moneyfarm ha individuato due modalità di gestione del rischio: l’aumento dei diversificatori di portafoglio (una maggiore esposizione a materie prime e asset denominate in dollari) e la riduzione degli asset rischiosi (obbligazionario high yield e dei Paesi emergenti, e azionario europeo). “Riteniamo che l’effetto della crisi Ucraina sulla crescita economica europea non sia ancora chiaro e che le pressioni inflazionistiche legate ai costi dell’energia potrebbero avere un impatto maggiore sugli utili aziendali europei rispetto a quelli americani”, conferma Richard Flax, chief investment officer della società. Un altro punto nevralgico riguarda l’esposizione all’azionario europeo, le cui valutazioni appaiono convenienti, se analizzate in prospettiva storica, anche in considerazione del fatto che alcuni scenari negativi sono già stati scontati dai mercati “ma potrebbero non essere a buon mercato in caso di rallentamento degli utili”. Sicuramente, conclude l’esperto “le valutazioni in Europa potrebbero diventare un aspetto da guardare con attenzione”.