Il cambiamento climatico non è l'unico campo di gioco per gli investimenti ambientali: l'attenzione alla biodiversità ha già un suo posto nella Tassonomia UE, con un focus preciso sulla doppia materialità.
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L'altro giorno ho appreso che i dinosauri hanno abitato la terra per circa 200 milioni di anni, fino alla caduta di un meteorite. Poi è passato molto tempo e siamo comparsi noi sapiens, che esistiamo solo da 200 mila anni. Non si sa nulla delle emissioni dei dinosauri, ma anche molto, molto tempo fa, quando andavo a scuola, ci insegnavano che il petrolio era in parte il prodotto dei resti di tanti dinosauri (200 milioni di anni sono tanti). La teoria è stata poi smentita, sollevando i dinosauri da ogni responsabilità per il riscaldamento globale, perché sembra che la componente organica degli idrocarburi sia per lo più plancton.
La lunga vita dei dinosauri fino alla loro sconvolgente fine ci fa riflettere sull'età del pianeta. Nel 1654 l'irlandese James Ussher, arcivescovo di Armagh, fece una serie di calcoli sommando le generazioni del libro della Genesi, dopodiché sostenne che il pianeta era sorto domenica 22 ottobre 4004 a.C. L'accuratezza del 22 ottobre è accattivante. Ma la Terra è più vecchia, molto più vecchia: circa 4,54 miliardi di anni. Lo ha scoperto nel 1953 il geochimico americano Clair Patterson, grazie alle misurazioni del piombo nei minerali terrestri e nei meteoriti. Patterson fece anche un’altra scoperta. Era in giro per il mondo, a misurare le concentrazioni di piombo, quando scoprì che i livelli erano sempre più alti sulla superficie del mare che sul fondo, lo stesso avveniva sulla neve rispetto agli strati più profondi. La causa? La benzina. La sua scoperta portò all'eliminazione del piombo nella produzione di carburanti, questo contribuì a far calare dell'80% i livelli di piombo nel sangue del cittadino americano medio, il più esposto. Lunga vita a Patterson!
La biodiversità
Tutta questa storia, con il suo andirivieni su Wikipedia, serve a ricordare che il cambiamento climatico non è l'unico terreno di gioco per gli investimenti ambientali. L'attenzione alla biodiversità è solo agli inizi, ma sta guadagnando terreno e ha già una sua parte nella Tassonomia europea. In effetti, il concetto di doppia materialità, che considera l'impatto (finanziario) sull’azienda e l’impatto che l’attività ha sull’ambiente circostante, sta diventando un po' più comprensibile, per prossimità, in questo settore. Se non c'è acqua, cosa facciamo e cosa facciamo per non smettere di avere acqua? Un'altra cosa è misurare questo impatto, qualcosa di più complesso per il momento, anche se stanno comparendo dei supporti.
In questo modo la natura entra nel processo decisionale degli investimenti. Ai requisiti normativi per le informazioni sulla sostenibilità si sono aggiunti gli standard volontari per le informazioni finanziarie relative alla natura. Lanciato a settembre 2023, il framework della Task Force on Nature-related Financial Disclosures (TNFD, il cugino ‘biodiverso’ della TCFD) mira a consentire alle organizzazioni di riferire e agire sugli sviluppi dei rischi legati alla natura. L'obiettivo, secondo Eurosif, è "integrare questi rischi nel processo decisionale delle aziende e dei fornitori di capitale e contribuire a incanalare i flussi finanziari globali verso risultati positivi per la natura e gli obiettivi del Quadro Globale sulla Biodiversità di Kunming-Montreal". Le 14 raccomandazioni finali, basate su dati scientifici, riguardano la governance, la strategia, la gestione del rischio e le metriche.
Sistemi alimentari
Appare chiaro che l'attività umana interferisce con l'equilibrio degli ecosistemi, minacciando le specie e causando la perdita di biodiversità e di natura, perdita che finisce per ripercuotersi sulle attività umane. Se nel campo dei cambiamenti climatici il settore energetico è il principale protagonista, nel campo della biodiversità l'attenzione è rivolta all'industria alimentare. In un recente evento di UBP AM dedicato alla natura, si è sottolineato che i sistemi alimentari sono responsabili di almeno il 60% della perdita di biodiversità, un danno che si intreccia anche con il cambiamento climatico e la crescita demografica. Tutto è collegato.
La ricerca di soluzioni è appena iniziata e non si tratta tanto di porre una dicotomia tra natura ed economia, fallace visto il grado di dipendenza, quanto di riconoscere la necessità di allineare sistemi ecologici e attività economiche. Schroders cita i dati del World Economic Forum quando sottolinea che più della metà del PIL mondiale dipende dalla natura. Se vogliamo durare come i dinosauri, è meglio non essere il nostro stesso meteorite.
Vi aspettiamo a dicembre.