La trasparenza non riduce le emissioni? Il dibattito in Europa è aperto

Europe
Markus Spiske (Unsplash)

Buongiorno a tutti: "La trasparenza non riduce le emissioni". La frase non è mia, l'ho sentita l'altro giorno a un evento europeo sulla sostenibilità. I partecipanti a un panel, tra cui un alto funzionario dell'ESMA, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, si lamentavano della normativa europea sugli investimenti sostenibili, sia rispetto a SFDR sia in merito ai suoi collegamenti con la Green MiFID e la Tassonomia. L'alto funzionario si è dimostrato comprensivo rispetto alle difficoltà interpretative e attende con ansia i risultati della consultazione lanciata dalla Commissione europea sull’attuazione del Regolamento SFDR, e aperta fino al 15 dicembre 2023.

Il dibattito

Il dibattito si è incentrato su come la classificazione dei prodotti finanziari ai sensi degli articoli 6, 8 e 9 del Regolamento SFDR sia diventata un sistema di etichettatura, mentre in realtà si tratta di una normativa che richiede agli operatori dei mercati finanziari e ai consulenti finanziari di comunicare come integrano i rischi di sostenibilità e i principali effetti negativi nei loro processi, a livello sia di entità sia di prodotto. Lo standard introduce anche informazioni aggiuntive per i prodotti finanziari che fanno dichiarazioni di sostenibilità. Stiamo parlando di trasparenza.

Tuttavia, sebbene tale trasparenza sia lodevole e auspicabile, il fatto è che molti investitori, e persino la stessa Commissione, si chiedono se non sarebbe meglio un modello di categorizzazione basato sull'obiettivo del prodotto. I framework di riferimento per gli investimenti sostenibili sono cambiati enormemente in un periodo di tempo relativamente breve. Dall'esclusione, al best in class, all'integrazione, all'engagement e all'impatto, l'evoluzione è stata enorme e molte strategie sono cumulative. Parallelamente c'è stata un'ondata di innovazione tecnologica che ci permette di andare oltre il bianco e il nero, o il verde e il marrone, nelle questioni di sostenibilità.

Cosa voglio quando investo?

Da qui la domanda su cosa si può ottenere con ogni investimento. Prendiamo, ad esempio, le strategie di transizione delle società di combustibili fossili. Molte di queste aziende sono le cosiddette NOC (National Oil Companies), che oggi rappresentano già la maggior parte del Capex globale nell'industria del petrolio e del gas. Ebbene, la riduzione del loro accesso ai mercati finanziari globali riduce notevolmente l'incentivo a una sufficiente disclosure delle informazioni ESG, il che rappresenta un chiaro rischio ESG. La professoressa Luisa Palacios della Columbia University, che collabora con AllianceBernstein nella ricerca sul clima, fa un esempio estremo, ma che dà un quadro chiaro dei rischi associati al disinvestimento internazionale.

Pevesa (la NOC venezuelana, nella quale, a causa di una serie di eventi che vanno dall'esproprio alle sanzioni, non ci sono investimenti internazionali) con una produzione di 800 mila barili di greggio al giorno, in termini di emissioni di metano supera l'Arabia Saudita che vanta ben 10 milioni di barili al giorno. L'esempio chiarisce, secondo Palacios, il costo in termini di obiettivi ambientali, che può imporre un minore acceso agli investimenti internazionali, soprattutto da parte di aziende situate nei mercati emergenti. Sembra che la trasparenza possa contribuire a ridurre le emissioni.

La proposta di consultazione

Richiamando l’attenzione sulla consultazione aperta dalla Commissione su SFDR, l'ultimo punto riguarda la possibilità di stabilire una categorizzazione per i prodotti finanziari, e propone quattro alternative:

  1. Prodotti che investono in attività che si sforzano di fornire soluzioni specifiche e misurabili ai problemi legati alla sostenibilità che interessano le persone e/o il pianeta, ad esempio investimenti in società che generano e distribuiscono energia rinnovabile, o in società che costruiscono alloggi sociali o riqualificano aree urbane. Si tratta di prodotti che offrono SOLUZIONI.
  • Prodotti che aspirano a soddisfare standard di sostenibilità credibili o che aderiscono a un tema specifico legato alla sostenibilità, ad esempio investimenti in aziende con una comprovata gestione dei rifiuti solidi e dell'acqua o con una forte rappresentanza femminile nel processo decisionale. Si tratterebbe di prodotti SOSTENIBILI.
  • Prodotti che escludono attività e/o società partecipate coinvolte in attività con effetti negativi sulle persone e/o sul pianeta. Si parla di ESCLUSIONI.
  • Prodotti con un focus sulla transizione, che mirano ad apportare miglioramenti misurabili al profilo di sostenibilità delle attività in cui investono, ad esempio investimenti in attività economiche che si allineano alla tassonomia o in attività economiche in transizione che si allineano alla tassonomia, investimenti in aziende, attività economiche o portafogli con obiettivi e/o piani credibili di decarbonizzazione, miglioramento dei diritti dei lavoratori o riduzione dell'impatto ambientale. Si parlerebbe di TRANSIZIONE.

In attesa dell'esito della consultazione, e considerando che l'anno prossimo ci saranno le elezioni del Parlamento europeo, per cui ogni cambiamento significativo richiederà tempo, ci chiediamo se questo sistema sarà più chiaro, soprattutto per l'investitore finale. "La trasparenza non è sempre chiarezza" è un'altra frase che ho sentito pronunciare proprio all'evento di cui parlavo. Sembra che siano necessarie entrambe.