Mercati emergenti, ecco quali sono i segnali di un'inversione di tendenza

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Ryo Tanaka (Unsplash)

Non può piovere per sempre. E questo è così anche per l'andamento dei mercati emergenti. "Negli ultimi anni, le performance degli asset legate a questi Paesi sono state alquanto deludenti rispetto a quelle dei loro omologhi occidentali, soprattutto se confrontate con quelle di lungo periodo. A farne le spese è stato soprattutto il comparto del debito, che ha risentito delle numerose crisi che si sono susseguite nel corso degli anni ’90 e che hanno portato un’ondata di svalutazioni delle valute locali", spiega Jean Marie Mercadal, Chief Executive pfficer di SYNCICAP AM (partecipata di Ofi Invest AM). Alla luce di questo accadimento sempre più economie emergenti hanno cercato di emettere più debito in valuta locale, così da evitare qualsiasi problematica nei pagamenti verso l’estero, qualora il valore delle valute occidentali (soprattutto del dollaro) fosse cresciuto troppo rapidamente. "Di conseguenza, il mercato del debito sovrano in valuta locale si è espanso molto rapidamente, arrivando a valere 8mila miliardi di dollari, con la sola Cina che ne detiene circa il 45% del totale", prosegue l'esperto.

Alcuni dati aiutano a inquadrare la portata del processo. Tra il 2002 e la fine del 2019, l’indice che traccia l’andamento di queste asset class, ovvero il JP Morgan GBI-EM, che racchiude i titoli di stato di 20 nazioni con rating BBB, è cresciuto del 6,95%, mentre l’indice per i bond governativi statunitensi è cresciuto del 3,60 per cento. "Tuttavia, negli ultimi 3 anni questo trend si è capovolto, con quest’ultimo che ha registrato un -5% e i mercati emergenti che hanno ceduto il 12%", commenta Mercadal.

Tre ragioni

Queste performance non soddisfacenti sono da rintracciarsi in tre ragioni. La prima è sicuramente la gestione della pandemia di Covid-19. "Le banche centrali dei mercati emergenti avevano a disposizione meno strumenti per tutelare le economie locali rispetto a Stati Uniti e Unione Europea e questo ha innescato un crollo delle valute, aggravato anche dalla riduzione del prezzo delle commodity", commenta.

La seconda ragione è l’inflazione. "Gli EM sono stati i primi a essere colpiti dall’aumento di quest’ultima, tanto che i loro istituti di credito centrali hanno quasi segnato la strada a Fed e Bce, applicando misure di politica monetaria restrittive ben prima di questi due istituti", spiega. Ma, a detta dell'esperto, ora che in queste nazioni l’inflazione si è stabilizzata e, in alcuni casi, ha iniziato anche a contrarsi, i rendimenti obbligazionari di lungo periodo potrebbero continuare a ridursi rispetto ai corrispettivi dei mercati sviluppati.

Infine, l’ultimo fattore è l’apprezzamento del dollaro, con la moneta statunitense che ha beneficiato della stretta monetaria della Fed e ha realizzato notevoli guadagni nei confronti di praticamente tutte le altre valute: "tra i minimi del 2020 e la fine del 2022, l'indice del dollaro, ovvero il parametro che traccia i movimenti del USD rispetto a un paniere di principali valute internazionali, è aumentato di circa il 25% e ha quasi raggiunto il massimo di 30 anni (più o meno 4%)", dice. Tuttavia, se si guarda l'andamento del dollaro da inizio anno si noterà che questo ha perso parte della sua spinta, con l’indice appena citato che ha ceduto fino al 12%, permettendo alle altre valute di recuperare, soprattutto a quelle degli EM.

Segnali di ripresa

Tuttavia, dopo il difficile periodo appena descritto, oggi sembra sia in atto un’inversione di tendenza per il debito delle economie emergenti, sia in termini assoluti che relativi. "Infatti, l’indice delle obbligazioni in valuta locale dei mercati emergenti è cresciuto del 2,50% da inizio anno, contro l’1,95% delle obbligazioni in euro e dello 0,10% di quelle in dollari, con il rendimento medio che al momento si attesta attorno al 6,55%", spiega Mercadal. Secondo gli esperti di Ofi Invest AM questa sovraperformance rispetto alle principali valute fiat sia destinata a continuare, in quanto l’inasprimento della politica monetaria sembra essere prossimo alla fine negli USA, con i tassi che dovrebbero stabilizzarsi attorno al 5,25% (molto vicino al 5% attuale). "Inoltre, alcuni dei principali EM (come Brasile, Perù e Indonesia) potrebbero trarre beneficio dalla ripresa dei prezzi delle commodity nei prossimi anni, dopo il crollo degli ultimi mesi a causa del paventato rallentamento di USA e UE", ammette. In particolare, le commodity che presentano gli indicatori strutturali più favorevoli sono il petrolio e i metalli utilizzati in ambito energetico.