Contributo a cura di Marco Giordano, Investment director di Wellington Management. Contenuto sponsorizzato da Wellington Management.
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CONTRIBUTO a cura di Marco Giordano, Investment director di Wellington Management. Contenuto sponsorizzato da Wellington Management.
L'inflazione sembra finalmente rallentare su scala globale: i massimi pluridecennali registrati nel 2022 sono ormai saldamente alle nostre spalle. Naturalmente non possiamo escludere sorprese al rialzo innescate da potenziali shock sul fronte delle materie prime, eventi idiosincratici o una perdurante resilienza dei consumatori, ma riteniamo che la parabola discendente dell'inflazione sia ormai ben avviata. Stando alle valutazioni attuali, lo scenario che ci appare più probabile è quello di un "atterraggio morbido". Detto questo, i bilanci di aziende e consumatori rimangono solidi e sui mercati del lavoro si osserva una notevole carenza di manodopera: non si esclude quindi un'improvvisa nuova accelerazione dei dati economici o un aumento dell'inflazione che possa cogliere in contropiede gli operatori di mercato.
In ogni caso, lo scenario più probabile è che i mercati stiano scontando correttamente i tagli ai tassi. Con l'inflazione in calo e i tassi d'interesse reali molto più elevati rispetto a un anno fa, nonostante il recente rally, le banche centrali godono di ampi margini di manovra e vorranno evitare che la politica monetaria diventi eccessivamente restrittiva. Il ritorno del trade-off fra crescita e inflazione ha indotto le autorità monetarie a guardare con apprensione i rischi di ribasso per il ciclo economico, che ora appaiono almeno tanto elevati quanto il rischio di non riuscire a riportare l'inflazione entro il livello target auspicato.
Potenziale divergenza USA-Europa
Dato che ora la maggiore preoccupazione è evitare una profonda recessione, a nostro avviso le banche centrali potrebbero approfittare della debole crescita economica (o di una recessione, anche lieve) per tagliare i tassi, soprattutto quando l'inflazione inizierà a convergere durevolmente verso l'obiettivo del 2%. Ad aprire le danze in tal senso potrebbe essere la Federal Reserve statunitense (Fed), verosimilmente nel primo semestre, dopodiché potremmo assistere a una crescente divergenza tra le varie aree geografiche.
È plausibile che la Fed abbia già raggiunto il tasso di riferimento terminale e inizi a tagliare i tassi d'interesse nel primo trimestre del 2024, quando probabilmente i dati economici rallenteranno ancora e prima che le elezioni presidenziali entrino nel vivo. In tale periodo si prevede che l'inflazione sarà ancora superiore all'obiettivo del 2% fissato dalla Fed e a quel punto i consumatori ne accuseranno gli effetti, l'inflazione elevata avrà ulteriormente eroso i salari reali e i risparmiatori avranno ormai speso gran parte di quanto accantonato in via precauzionale, in un contesto di crescente disoccupazione e condizioni di accesso al credito più restrittive. Di conseguenza, probabilmente la Fed dimostrerà una certa tolleranza nei confronti di un'inflazione superiore al target: diversamente (e aumentando ulteriormente i tassi di riferimento) rischierebbe di affondare l'economia in una recessione più profonda.
L'Europa ha assistito a un costante calo dell'inflazione nel corso del 2023, pur con un trend discendente meno deciso nel Regno Unito. La crescita si è appiattita e alcuni paesi, in particolare la Germania, sono sull'orlo della recessione tecnica. Negli ultimi anni, la spesa al consumo è rimasta ben lontana dai livelli d'oltreoceano e difficilmente i risparmi accumulati in tempi di COVID verranno spesi a breve. A ogni modo, l'inflazione core sembra destinata a rimanere superiore al target, grazie a un mercato del lavoro molto resiliente e a un aumento soltanto lieve della disoccupazione. Nonostante la "maratona" di aumenti operati sui tassi d'interesse per riportare l'inflazione entro il target del 2%, il rush finale si prospetta più duro, perché nel frattempo il ciclo manifatturiero sembra avere ormai toccato il fondo e i servizi potrebbero segnare una ripresa. In questo contesto, anche se i mercati scontano tagli ai tassi, la Banca Centrale Europea potrebbe invece mantenerli ai livelli attuali a meno di un forte peggioramento dei mercati del lavoro. Anche la Bank of England potrebbe essere costretta a fare una pausa dopo i primi tagli ai tassi. L'eventuale decisione di mantenere i tassi d'interesse a livelli elevati segnalerebbe che:
- le economie sembrano in grado di sopportare tassi più elevati senza scivolare in una grave recessione;
- i cicli nei vari paesi possono rimanere non sincronizzati;
- salvo shock esogeni, gli anni dei tassi di interesse zero o negativi sono ormai acqua passata.
La tendenza all'irripidimento delle curve ci sembra destinata a proseguire, che sia tramite rally dei rendimenti nella parte breve o aumenti nelle fasce di scadenza più lunghe, con le economie alle prese con un'inflazione più persistente nel lungo termine.
Il Giappone si conferma l'eccezione
Mentre i tassi d'inflazione scendono all'unisono nei paesi sviluppati, l'unica voce fuori dal coro rimane quella del Giappone: nonostante l'evidente trend reflazionistico, la Bank of Japan (BOJ) porta avanti imperterrita la strategia di abbandono delle politiche accomodanti con i suoi ritmi, anziché unirsi alle altre banche centrali e avviarsi verso un ciclo di rialzi. Malgrado i ritocchi al meccanismo di controllo della curva dei rendimenti, il 2024 si aprirà con la BOJ che applica tassi ancora negativi e mercati finora impotenti nell'esercitare pressioni sulle autorità monetarie. Il percorso intrapreso è chiaro: abbandono del meccanismo di controllo della curva dei rendimenti e uscita dai tassi negativi; resta però da vedere come e quando si concretizzerà una normalizzazione della politica monetaria. Come già indicato dai nostri colleghi in altra sede, gli aumenti dei tassi di interesse giapponesi possono avere un impatto significativo sui mercati finanziari globali.
Mercati emergenti in posizione più favorevole
Le banche centrali dei mercati emergenti sono riuscite ad anticipare gli incrementi dei tassi in questo ciclo, il che le pone nell'invidiabile posizione (dal punto di vista di altre autorità monetarie) di poterli gradualmente ridurre senza timore di radicare l'inflazione nel sistema. In questo contesto, le valute dei mercati emergenti potrebbero essere penalizzate, non solo per i tagli ai tassi d'interesse ma anche perché in genere le dinamiche di fine ciclo tendono a favorire divise come il dollaro statunitense, il franco svizzero e lo yen giapponese, in quanto percepite dai mercati come beni rifugio. Ad ogni modo, il carry trade potrebbe proseguire per qualche tempo creando così opportunità di rendimenti positivi potenzialmente interessanti nei mercati emergenti.
La sfida sistemica in Cina
Dopo una reazione piuttosto tardiva alla deludente riapertura nel primo semestre del 2023, oggi i banchieri centrali cinesi sono più determinati nel contrastare il rallentamento dell'economia interna con l'adozione di un modello orientato ai consumi e alla produzione di beni a maggior valore aggiunto per l'esportazione. Il rallentamento osservato finora è imputabile a svariati fattori: dai problemi del mercato immobiliare al deterioramento dei bilanci, passando per un tasso di disoccupazione giovanile sorprendentemente elevato. Finora la People’s Bank of China ha adottato una serie di misure per contrastare i problemi di liquidità, ma la sola politica monetaria non basterà a risolvere queste sfide di natura più strutturale.
In sintesi: prosegue la normalizzazione, ma attenzione a potenziali sorprese
In conclusione, nel 2023 abbiamo imparato che le economie sono in grado di tollerare tassi di inflazione elevati per lunghi periodi e potrebbero continuare a registrare una crescita positiva, seppure in termini nominali piuttosto che reali. Le curve dei rendimenti potrebbero irripidirsi ulteriormente, soprattutto se l'inflazione dovesse tornare ad accelerare; al contempo intravediamo un maggiore potenziale di errori di politica monetaria, con banche centrali e mercati alle prese con l'insidioso trade-off fra crescita e inflazione. Per definire il posizionamento di portafoglio nel 2024 sarà fondamentale monitorare da vicino questi potenziali sviluppi.
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