La seconda tavola rotonda dell'evento organizzato da FundsPeople a Milano ha visto il confronto fra fund selector e asset manager sulla necessità di una solida identità ESG dei partecipanti ai mercati finanziari.
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La seconda tavola rotonda dell'evento organizzato da FundsPeople a Milano ha visto il confronto fra fund selector e asset manager sulla necessità di una solida identità ESG dei partecipanti ai mercati finanziari.
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Interrogarsi sul proprio profilo sostenibile, o meglio, sulla propria identità. È il compito a cui gli attori finanziari sono stati chiamati negli ultimi anni, rispondendo a una serie di imposizioni normative che rimandano non soltanto al rispetto di parametri ambientali, sociali e di governance in capo al prodotto finanziario, ma anche all’operatore stesso. La genesi di questa autovalutazione è da ricercare in una crescente sensibilità del mercato, certo, ma anche in una decisa introduzione della tematica da parte di autorità di regolamentazione e organismi sovranazionali. Il rimando è non soltanto ai Regolamenti Ue SFDR e Taxonomy, ma anche alle linee guida delle ESAs, o al due diligence questionnaire dei Principi di investimento reponsabile della Nazioni unite (Un PRI) e agli Obiettivi di investimento sostenibile (SDGs) delle Nazioni Unite. Nel perimetro della selezione dei fondi, dunque, la selezione dello stesso asset manager assume un rilievo centrale.
E appunto questo dettaglio è stato al centro della seconda tavola rotonda di FundsPeople International ESG, l'evento organizzato da FundsPeople a Milano lo scorso 24 gennaio che ha visto il confronto tra fund selector e gestori esperti nell’ambito della sostenibilità. Sulla base di quanto emerso nell’inchiesta realizzata da FundsPeople tra fund selector e asset manager operanti in Italia, i professionisti chiamati a confrontarsi sul palco hanno messo in evidenza le caratteristiche che determinano il legame tra la selezione dell’investimento e il modo di essere sostenibile dell'investitore.
I commenti si riferiscono al contesto del 24 gennaio 2024.
Il tema dell’identità, dunque, rientra a pieno titolo tra le priorità individuate dagli stessi fund selector. Emilio Pastore head of finance and treasury, HDI Assicurazioni indica due parole chiave: percorso e identità sostenibile. “Prima dell'introduzione di SFDR, la sostenibilità era legata principalmente alle scelte di investimento, limitandosi a un discorso di mere esclusioni”. In quattro anni, tuttavia, la trasformazione è evidente. “Si è progredito non soltanto a livello normativo, ma anche nell'evoluzione individuale degli investitori. Oggi, non possiamo più ridurre l’identità sostenibile a un semplice approccio di investimento basato su criteri e strategie”.
Nel contesto delle compagnie assicurative, questo percorso ha coinvolto tre settori cruciali: operational, underwriting e asset management. “Nel primo caso estendendosi al contributo stesso della società nel raggiungere gli obiettivi di sostenibilità”, afferma. Nell'underwriting il fuoco si sposta sulla “coerenza” della società nel considerare non solo il gestore ma addirittura “quale sia la clientela corporate che entra nel portafoglio assicurativo”. Infine nell’asset management, “rientrano attività quali la scelta di un ESG provider che a sua volta valuti i prodotti di investimento collocati presso la clientela”. Questa attenzione all’identità ESG si è dimostrata cruciale anche davanti ai chiari di luna che hanno interessato il settore assicurativo (e la gestione del risparmio in generale) negli ultimi due anni, e il discorso aperto da Pastore riconduce al tema della liquidità del portafoglio: come gestire i disinvestimenti prima ancora che gli investimenti? “Per noi, ma in generale per tutta l’industria assicurativa, è stato molto importante la presenza di una componente molto alta di prodotti sostenibili, cioè di posizioni liquide all'interno del portafoglio atte a facilitare il disinvestimento”. Soprattutto in un contesto in cui le condizioni di mercato possono cambiare rapidamente, afferma l’esperto, inserire prodotti più liquidi è essenziale, considerando la ciclicità dei mercati e le sfide di lungo periodo”
1/5Alessandra Festini ESG manager di Cassa Forense opera uno spostamento di prospettiva dall'identità ESG a quella sostenibile, indicandole come “due cose differenti”. Al di là dell’analisi di gestori e strategie ESG, l’esperta sottolinea che “essere sostenibili significa avere un impatto sulla sostenibilità”. Questo impatto si evidenzia principalmente nei settori ambientali e sociali. E un parametro di analisi utile in tal senso arriva dagli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs) delle Nazioni unite. Festini cita, in proposito, il goal 7 (energia pulita e accessibile) e il goal 13 (lotta al cambiamento climatico) già introdotti all’interno dell’analisi di “identità sostenibile” dei gestori selezionati da Cassa Forense. “L'intervento dell'asset owner è proprio la ricerca di un impatto positivo in termini di sostenibilità, con l’individuazione del gestore e della strategia che effettivamente generano tale impatto”.
Il discorso va poi in direzione della normativa SFDR, già citata da Pastore ed enfatizzata dall’esperta come azione “che ha messo l’accento sulla trasparenza”. Per contro, tuttavia, si è assistito a un “eccesso normativo che ha creato una corsa degli operatori a riorganizzare i propri fondi, le proprie strategie in termini riclassificazione in base ad articolo 8 e articolo 9 SFDR, salvo poi dover tornare sui propri passi in molti casi”. Che cosa ha comportato questa confusione? Un messaggio chiaro per i selezionatori: “Se i fondi non sono sostenibili, il gestore non è sostenibile”. La normativa, prosegue l’esperta, “ha sì creato delle regole, ma ha lasciato spazi di interpretazione ampi, imponendo al fund selector il compito di operare un distinguo”. In questo è dovuta intervenire ancora una volta l’Unione Europea al lavoro su una revisione di SFDR che preveda, per esempio, la creazione di una label. “Questo strumento stabilito da un organismo internazionale – conclude Festini –, limiterebbe la discrezionalità del gestore nella classificazione dei fondi e rimanderebbe a esperienze di successo già operative in singoli Paesi del blocco, come ad esempio in Francia”.
2/5Un’azione differente, sia nella selezione sia nell’approccio alla normativa ESG, riguarda i fondi pensione. I fondi negoziali, afferma Andrea Mariani direttore generale di Fondo Pegaso, in quanto “molto snelli dal punto di vista strutturale” hanno il compito di investire le risorse dei propri soci (gli iscritti) all’interno di “un framework ben preciso”. Ad esempio non possono selezionare veicoli di investimento aperti ma devono affidarsi unicamente a mandati di gestione. “Selezionando il gestore per una certa strategia devo guardare prima alla società, all’asset manager, solo in un secondo momento alla strategia. E questo anche per quanto riguarda la selezione ESG”. Mariani specifica come il gestore diventi, in questo caso, “partner”. Perciò “l'identità ESG del gestore va oltre la strategia, e ci racconta anche della sua capacità di aiutarci a diventare investitori sempre di più sostenibili”. Da qui l’analisi di parametri quali la diversity inclusion, la selezione e la remunerazione del management. “Quale il peso di questi KPI nell’operatività del gestore? È un peso minimo o rilevante? Questo ci dà indicazioni di quanto l’asset manager creda in questi aspetti e di quanto siano core nella sua visione”. Mariani riporta anche la necessità di entità terze con cui confrontarsi nel processo di selezione, indicando come sia importante anche “capire qual è la propria identità ESG perché la politica di sostenibilità interna deve essere coerente con tutti gli aspetti analizzati nella selezione dell’asset manager”.
Richiamando poi l’impatto della normativa su entità come i negoziali, Mariani spiega che Regolamenti come SFDR e Direttive come Shareholder Rights, abbiano spinto gli istituzionali “a prendere posizione sulla questione della sostenibilità”, ma occorre sottolineare un aspetto: “La normativa – afferma – è stata pensata per singoli prodotti. Un fondo contrattuale nei suoi comparti si affida a più asset manager. Nel caso di Fondo Pegaso, nel comparto di maggiori dimensioni sono presenti 11 gestori, con sei tipologie di mandati diversi, public e private insieme. E non è possibile definire una cornice unica per tutto”. Si evince da qui come un’unica normativa abbia impatti differenti sui diversi attori del gestito.
3/5Elena Bargossi senior sales manager intermediary di Schroders ricorda come l’identità ESG sia “un elemento che va ricercato anche affidandosi a interlocutori super partes”. In tal senso, prosegue richiamando quanto sottolineato da Mariani, “abbiamo accolto con entusiasmo iniziative di terze parti (di cui abbiamo esempi anche in Italia) volte a dare una valutazione della qualità ESG di un asset manager o di un'istituzione finanziaria sulla base di metriche condivise, trasparenti e oggettive”. Nel rievocare la “crisi” di performance che ha interessato tutto il comparto del risparmio gestito nel 2022 (includendo al proprio interno anche i prodotti sostenibili) l’esperta sottolinea come in questo movimento si configuri “il punto di svolta del tema dell’identità ESG, tale quando si conferma e si consolida nel tempo indipendentemente dall'andamento del mercato, delle mode e anche delle performance dei fondi”.
Torna poi centrale il tema della liquidità e dell’impatto, sulla scia di quanto sottolineato dai precedenti interventi, Bargossi riporta quanto l’illiquidità di un fondo, al di là di contingenze di mercato, assuma “un valore aggiunto quando si parla di impact investing”. Nel citare lo Schroder Institutional Investor Study 2023 (survey su 770 entità a livello globale, rappresentative di circa US 35 miliardi di AuM) riporta la presenza di “un interesse crescente per l'impact investing e un'identificazione importante dei private market come asset class preferita per portare a termine i propri obiettivi di impatto”. Gli investitori, sottolinea la manager, chiedono che ciascun investimento (anche potenziale) sia valutato sulla base di tre lenti: finanziaria, di sostenibilità e di impatto. “Dove sostenibilità e impatto non sono più due alternative tra loro o una il sottoinsieme dell'altro: l'impatto è relativo a che cosa un'azienda fa la sostenibilità a come lo fa”. In tal senso Schroders, in collaborazione con BlueOrchard (AM specializzato nell’impact entrato a far parte del gruppo nel 2019), ha elaborato un framework proprietario basato su tre pilastri: l'intenzione, il contributo e la misurazione. “La vera differenza tra fare impact investing sui mercati pubblici e privati non è tanto nell'intento o nella misurazione, quanto nel contributo”, conclude Bargossi.
4/5Anche una società come Gemway Assets, focalizzata sui mercati emergenti, ha voluto includere, fin dalla sua creazione criteri extra finanziari nella definizione del portafoglio. Inizialmente, spiega Stefano Franchi, head of business development - Italy and Ticino della società “quando Gemway è stata creata, nel 2012, ha assunto un peso preminente l’analisi della governance. Negli anni successivi il nostro processo si è strutturato con la definizione di un approccio extra-finanziario che includesse tutte le variabili ESG”. Tale approccio, nell’ambito dei mercati emergenti si configura come “un indicatore del rischio del portafoglio estendendo il nostro sguardo fino a includere il rischio reputazionale”. Franchi chiama ad esempio casi avvenuti in Cina, in Brasile e in India. “Al di là di casi legati ai criteri di natura ambientale, negli emergenti è il social che necessita di un focus maggiore”. E per Gemway, “l’introduzione di SFDR, al di là delle criticità che sono state già messe in luce, ha garantito un framework di analisi molto solido, applicabile agli investimenti in questi mercati”.
L’analisi dei nomi che vanno poi a comporre i prodotti, prosegue Franchi, segue criteri stringenti che rispondono alla necessità di liquidità avanzata da più parti e richiamata in precedenza anche da Pastore di HDI. “Cerchiamo di mantenere un portafoglio molto liquido per poter reagire rapidamente a eventuali momenti di crisi”. Oltre alla garanzia di liquidità si inseriscono come detto l’analisi ESG e l’analisi fondamentale delle società. “Ci piace andare sul campo, incontrare le aziende a cui sottoponiamo il nostro questionario proprietario”. In questo modo, la società può assegnare un rating interno ai titoli, che viene poi confrontato con quello dei rating provider. Un passaggio fondamentale, conclude Franchi, “Perché gli ESG provider fanno un'analisi ex-post, analizzano i bilanci, ma non possono prendere in considerazione le prospettive futuri e i cambiamenti di direzione (che possono essere sia positivi sia negativi). Incontrare le società ci permette di conoscerle molto bene, e di valutare il meglio possibile”.
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