Torna l’appetito per gli emergenti tanto che le principali case di gestione internazionali, nei vari roadshow in giro per l’Europa, accanto alla strategia multiasset, sono tutte a proporre strategie che puntano a quei mercati. Basta prendersi un po’ di rischio in più. Ma, alle porte della fine del tapering statunitense, i mercati emergenti stanno davvero in piedi da soli o sono ancora legati a doppio filo con gli Usa? Prima di rispondere a questa domanda, dicono gli esperti, quello che conta è essere selettivi dato che, tra tensioni geopolitiche e volatilità, questa è un’area da prendere non certo come un blocco unico. Meglio allora scegliere singoli paesi e valute e non prodotti di investimento generici sull’area emergente.
Ma come stanno andando questi mercati da inizio anno? Nel campo degli strumenti obbligazionari, nel corso dei primi nove mesi dell’anno i rendimenti a scadenza sono scesi per quasi tutti gli emittenti, sia per titoli in dollari sia in valute locali (si veda tabella). “Buoni numeri si vedono anche sul mercato delle obbligazioni societarie emesse in valuta forte. Mediamente buone sono state anche le performance dei mercati azionari asiatici e dell’America Latina, mentre in Est Europa l’andamento è negativo. Nel caso delle valute, si è notata una generale debolezza nei confronti del dollaro”, spiega Claudio Barberis, responsabile dell’asset allocation di MoneyFarm.com. In generale i mercati emergenti hanno beneficiato del clima favorevole che si respira su tutti i mercati globali, sviluppati e non, le cui ragioni risiedono principalmente nella ripresa statunitense e nelle iniziative di continuo supporto messe in campo dalle banche centrali dei paesi sviluppati.
L’attesa “normalizzazione” dei tassi americani, e quindi l’inizio di una fase di rialzi a cui i mercati guardano con timore, se non altro perché non hanno idea di cosa possa comportare dopo oltre sei anni di tassi pressoché zero ovunque, sembra destinata ad arrivare in modo molto graduale. Continua: “Questo ha incentivato ancora strategie di investimento volte a cercare rendimenti alternativi e aggiuntivi, rispetto a strumenti obbligazionari che in Eurozona o Stati Uniti sono destinati a rendere poco, se va bene. Di questo clima i mercati in via di sviluppo hanno abbondantemente beneficiato”. Sul fronte macroeconomico, i temi rilevanti per l’area emergente sono molti. La bassa crescita, l’inflazione alta e le imminenti elezioni in Brasile sono la principale fonte di incertezza per l’America Latina. Le tensioni geopolitiche nell’Est Europa stanno causando un’interruzione di parte dei flussi commerciali della zona, con conseguenze ancora da valutare per molti paesi. In Cina il boom degli anni 2000 sta lasciando un’eredità di alto indebitamento privato ed eccesso di capacità produttiva per molte aziende private: il settore immobiliare e creditizio hanno già richiesto iniziative di intervento da parte delle istituzioni statali.
Spiega il gestore: “la situazione di molti paesi emergenti è anche legata al prezzo delle materie prime, che quest’anno stanno soffrendo una debolezza generalizzata nei prezzi e nei volumi, mettendo in difficoltà i principali paesi esportatori, Russia e Sudafrica in particolare. Inoltre, siamo in un’epoca di “rebalancing” globale: sta venendo meno il modello secondo cui l’America si indebitava, comprava beni e materie prime dai paesi emergenti, che a loro volta risparmiavano e reinvestivano su scala internazionale finanziando i consumi degli stessi Stati Uniti. La fine di questo modello porterà a bilance commerciali meno positive, o negative, per molti paesi emergenti, che dovranno dimostrare capacità di crescita e sviluppo indipendentemente dall’export.
Venendo alle valutazioni, in sintesi si può dire che nessun mercato emergente presenta estremi di prezzo, né sul lato azionario né su quello obbligazionario. Se si guarda il rapporto prezzo-utili medio delle principali aree rispetto a quello dei paesi sviluppati, per quanto riguarda la parte obbligazionaria i rendimenti a scadenza e spread non sono stati cari rispetto a quello che si vede sui mercati sviluppati. Questa considerazione si potrebbe anche fare per i rendimenti “reali”, al netto dell’inflazione, offerti dalle obbligazioni in valuta locale. La valutazione non eccessiva dei paesi emergenti è una buona notizia per gli investitori che da anni faticano a trovare valore su molti mercati sviluppati. È anche il sintomo di un approccio meno superficiale a quest’area: valutazioni più convenienti rispetto ai paesi sviluppati significano che parte dei rischi e delle debolezze di cui si è detto sono prezzati”.
Indice | Area | Valuta | Performance da inizio anno (in $) | Rendimento a scadenza inizio anno | Rendimento a scadenza attuale | Spread inizio anno | Spread attuale |
MSCI WORLD | Azioni paesi sviluppati | $ | 2,82% | ||||
MSCI EM EASTER EUROPE | Azioni Est Europa | $ | -16,28% | ||||
MSCI EM LATIN AMERICA | Azioni America latina | $ | 2,57% | ||||
MSCI EM ASIA | Azioni Asia | $ | 4,89% | ||||
Barclays EM Local Currency | Governativi Emergenti valute locali | Local | 2,31% | 6,10% | 5,93% | ||
JP Morgan EM Bond Index | Governativi Emergenti in $ | $ | 8,88% | 5,62% | 5,14% | 3,18% | 2,72% |
Morningstar EM Corporate Bond Index | Obbligazioni Corporate in $ | $ | 6,34% | 4,91% | 4,80% | 2,92% | 2,80% |
JP Morgan EM Currency Index | Paniere di valute paesi emergenti | $ | -5,52% |
Fonte: Bloomber e index providers. Dati al 26 settembre