Cambiamo prospettiva, la COP 26 vista delle economie emergenti

Ophélie Mortier, Responsible Investment Strategist, DPAM. Foto concessa

CONTRIBUTO a cura di Ophélie Mortier, Responsible Investment strategist di DPAM. Contenuto sponsorizzato da DPAM.

In molti sono d’accordo: la conferenza sul clima più importante dopo quella di Parigi si è rivelata piuttosto deludente nonostante le aspettative fossero davvero elevate. La parola d'ordine è stata accelerazione, in particolare delle ambizioni di riduzione delle emissioni di gas serra. Ma questa accelerazione è essenzialmente spinta e richiesta dai Paesi più sviluppati, molti dei quali non hanno ancora raggiunto i loro obiettivi di Parigi ma, al contempo, hanno toccato il picco di emissioni. Per i Paesi in via di sviluppo, la storia è ben diversa.

Emissioni globali di carbonio – la corsa alle emissioni zero è uno sforzo congiunto

Source: International Energy Agency (2021), Net Zero by 2050, IEA, Paris

Prima di tutto, è chiaro che pochi Paesi si sono impegnati nel definire nuove ambizioni. Inoltre, anche la scadenza per la revisione degli obiettivi, prevista per la COP26, è stata estesa al 2022, con l’inserimento di una “scappatoia” in caso di "circostanze nazionali" che non permetterebbero la revisione delle ambizioni.

Tuttavia, è dalla parte delle economie emergenti che arriva una dichiarazione importante: l'India si è (finalmente) pronunciata sulla neutralità del carbonio entro il 2070, vale a dire 10 anni dopo il suo vicino cinese e 20 anni dopo l'Unione Europea. Anche se molti considerano questa scadenza inaccettabile di fronte all'emergenza climatica, è probabile che l'India non possa impegnarsi più velocemente, vista la sua dipendenza dal carbone. Infatti, due terzi del consumo attuale globale di carbone sono effettuati da India e Cina anche se quest’ultima ha già definito un importante piano di uscita che cerca di mantenere un certo equilibrio per le regioni che dipendono principalmente da questo settore di attività economica.

Promesse non mantenute

Le economie emergenti hanno chiesto fin dall'inizio un sostegno finanziario che permetta loro di impegnarsi in obiettivi climatici ambiziosi e nella riduzione delle emissioni di carbonio. Il principio di una transizione giusta. Tuttavia, ad oggi, le promesse sono state difficilmente mantenute. Infatti, il piano di implementazione dei finanziamenti per il clima è probabilmente la più grande delusione della conferenza, soprattutto per le economie emergenti. Diversi esperti hanno descritto la COP26 come una conferenza dei “Paesi ricchi” per i “Paesi ricchi”.

Un rapido promemoria: alla COP di Copenaghen nel 2009, l'idea era di fornire ai paesi emergenti 100 miliardi di dollari all'anno per finanziare la transizione, cioè per ridurre le emissioni da un lato, e adottare meccanismi di adattamento dall'altro. Finora sono stati erogati solo 82-83 miliardi di dollari.

Di positivo c'è che è stato concordato l'importo da versare ogni anno tra il 2020-2025, con un piano di finanziamento graduale in modo che entro il 2023 i 100 miliardi di dollari saranno versati a favore della transizione delle economie emergenti e con un recupero degli importi ancora dovuti.

Tuttavia, si notano purtroppo alcuni aspetti negativi:

  • nulla è stato previsto o concordato per il periodo successivo al 2025; questo tema dovrà essere rimesso sul tavolo dei negoziati alla COP27 in Egitto.

sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, l'aiuto è erogato essenzialmente sotto forma di prestiti che possono essere recuperati in seguito ai miglioramenti realizzati e agli altri costi legati alla riduzione delle emissioni. Tuttavia, l'adattamento al cambiamento climatico era inizialmente stato previsto principalmente sotto forma di sovvenzioni ma in realtà avverrà soprattutto tramite prestiti. Da qui l'osservazione che si tratta di una scappatoia dei “Paesi ricchi” per i “Paesi ricchi”.

  • l'ultimo grande aspetto su cui le economie emergenti si sono sentite abbandonate è stato quello relativo alla quantificazione di danni e perdite, ad oggi non misurabili. Infatti, nonostante i Paesi in via di sviluppo siano generalmente più esposti al cambiamento climatico, anche se non necessariamente i maggiori contributori, non è purtroppo stato definito nessun meccanismo di finanziamento.

La ricerca della neutralità carbonica globale entro il 2050-2070 comporta un costo preciso per la transizione energetica e un conseguente aumento delle tensioni geopolitiche. Stiamo già assistendo alla corsa tra Stati Uniti e Cina per la leadership sulla questione ambientale. Tuttavia, è l’intero pianeta che deve concordare una decarbonizzazione aggressiva per rispettare il bilancio globale del 2030 (40% di riduzione delle emissioni rispetto ai livelli del 2010).

Purtroppo, non è acquistando “permessi ad emettere” dei peggiori o migliori performer ciò che permetterà di ridurre il livello globale di emissioni richiesto. Tale commercio rischierebbe invece di esacerbare le tensioni energetiche in generale, e sulla transizione in particolare. Non dimentichiamo che oggi il cambiamento climatico è la ragione principale dei fenomeni migratori, il che aggraverà anche le tensioni demografiche. Si tratta di questioni chiave che continueremo a monitorare nel nostro modello di analisi dei Paesi, sia sotto l’aspetto ambientale sia sotto quello sociale.

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