Contributo a cura di Giuseppe Zaffiro Puopolo, portfolio manager di Moneyfarm.
La volatilità sul prezzo del petrolio scatenata dalla recente crisi in Medio Oriente ha riportato l’attenzione dei mercati sul tema del prezzo del greggio. Questa variabile è di fondamentale importanza nel determinare l’andamento dei mercati finanziari e crediamo che, visto l’attuale posizionamento dei mercati, lo sia particolarmente.
L’attuale equilibrio di mercato, infatti, è supportato in buona parte dall’assunto che la politica monetaria, in Usa e in Europa, non rallenti la propria azione a sostegno dell’economia. Nell’ultimo trimestre abbiamo visto un risveglio dell’inflazione nell’Europa core, oltre a segnali di vitalità economica. Un’accelerata improvvisa dell’inflazione potrebbe avere conseguenze sulle aspettative di inflazione, con inevitabili ripercussioni sulle valutazioni degli asset finanziari, che oggi incorporano in gran parte l’assunto che il livello dei prezzi non accelererà nel 2020.
Quali sono le variabili che incideranno sul prezzo del petrolio nei prossimi mesi e dove immaginiamo il valore target? Con una prospettiva più lunga, da tenere d’occhio sono la dinamica di domanda e l’offerta globale. Nel breve periodo, invece, le tensioni geopolitiche che stiamo osservando hanno tutto il potenziale di causare degli shock di prezzo temporanei ma difficilmente prevedibili. Analizzeremo questi due fattori.
Domanda/offerta e transizione energetica
Il prezzo del petrolio Brent a seguito della recente impennata dovuta alle tensioni geopolitiche nel Medio Oriente ha corretto a ribasso e non ha raggiunto i livelli dell’aprile scorso. Sicuramente l’offerta in aumento ha influito negativamente sull'andamento del prezzo, ma anche la domanda debole ha avuto il suo impatto. Entrando nel 2020, i principali fattori di depressione della domanda, in particolare l'escalation delle tensioni commerciali e una contrazione dell’attività economica globale, sembrano allontanarsi. Nonostante ciò, un’impennata del prezzo sembra oggi improbabile, in parte per l’abbondanza di output, con gli Stati Uniti che hanno aumentato l’offerta più del previsto, e in parte per le tendenze di medio termine che riguardano la relazione tra l’andamento del PIL e il prezzo del petrolio.
L’economia globale sta utilizzando l’energia in modo più efficiente. Dal 1990, l'intensità energetica del PIL è diminuita ad un tasso medio dell'1,5% all'anno. Nel 1990 ci sono voluti 7,6 Megajoule per produrre ogni dollaro di PIL reale, nel 2015 ha richiesto solo 5,1 Megajoule. Se questa tendenza continuerà, l'economia mondiale dovrà crescere di oltre l'1,5% ogni anno per generare più domanda di energia.
La crescita prevista del Fondo Monetario Internazionale è di circa il 3,5% all'anno per i prossimi anni, un livello che dovrebbe teoricamente sostenere la domanda se non dovessero intervenire fenomeni recessivi, che per adesso non sembrano all’orizzonte. Una maggiore domanda di energia, tuttavia, non significa automaticamente una maggiore domanda di petrolio: infatti il mix energetico è cambiato nel tempo. Si prevede inoltre che la quota di energie rinnovabili salirà al 14% nel 2040 da praticamente zero nel 2000.
Probabilmente, anche il 2020 sarà caratterizzato da ampia offerta di petrolio e domanda debole. L'Agenzia Internazionale per l'Energia (IEA) prevede che la crescita dell'offerta non OPEC raggiungerà 2,2 milioni di barili al giorno, più che assorbendo tutta la crescita della domanda (1,2 milioni di barili al giorno). Le prospettive ribassiste sono condivise dai mercati finanziari. La previsione del consenso prevede un prezzo per il petrolio intorno ai 60 dollari statunitensi medi al barile nel 2020, in calo rispetto ai 64 dollari previsti per il 2019. La curva dei futures indica un calo ancora più marcato, consolidando le views prudenti prevalenti sul mercato.
Rischi geopolitici?
In Moneyfarm riteniamo ragionevoli le proiezioni del consensus. A nostro avviso la domanda e l’offerta globali sono fattori più importanti nel lungo periodo delle tensioni geopolitiche. Tuttavia, non crediamo si debba sottovalutare l'importanza strategica che riveste lo Stretto di Hormuz, vista la quantità di greggio che lo attraversa quotidianamente.
Anche se rimane difficile prevedere cosa accadrà da un punto di vista geopolitico, possiamo provare a tracciare degli scenari. Alle condizioni attuali il fabbisogno mondiale di petrolio non ha sufficiente capacità di riserva per sostituire interruzioni potenzialmente significative dal Medio Oriente. Uno scenario di escalation limitata tra l'Iran e gli Stati Uniti comporterebbe un’influenza minima sulla produzione di petrolio nella regione. Dopotutto, l'Iraq ha assistito a proteste per mesi con un'interruzione minima della produzione.
Se l'escalation portasse a interruzioni dell'approvvigionamento in Iran o Iraq, scenario che comunque per ora non prevediamo, potrebbero esserci delle ripercussioni significative. Nonostante le sanzioni statunitensi, l'Iran produce ancora più di 2 milioni di barili di petrolio al giorno, l’Iraq circa 4,7 milioni di barili al giorno e non c'è abbastanza capacità di riserva globale per sostituirlo.
Lo scenario estremo è una diffusione del conflitto nel più ampio Medio Oriente. Ciò potrebbe assumere la forma di un'interruzione dei flussi di greggio nel Golfo o di attacchi agli impianti petroliferi nella regione simili a quelli osservati lo scorso settembre. A rischio sono oltre 20 milioni di barili di produzione giornaliera di petrolio, pari a circa il 20% della fornitura mondiale. Probabilmente non è nell'interesse di nessuno che le tensioni raggiungano tali livelli, ma i numeri danno un’idea del potenziale impatto che potremmo avere in caso di un’interruzione dei flussi dallo stretto di Hormuz.