Sebbene il sistema finanziario dell’Eurozona abbia dimostrato di saper reggere alle turbolenze dei mercati, i rischi per la stabilità sono aumentati.
I rischi per la stabilità, collegati a possibili correzioni degli asset a livello globale, sono aumentati sebbene il sistema finanziario dell’Eurozona abbia dimostrato di saper reggere alle turbolenze sui mercati degli ultimi sei mesi. I fondi d’investimento, in particolare, sono cresciuti rapidamente negli ultimi anni ma il loro ruolo “deve essere accompagnato da un corrispondente aumento del monitoraggio, visto che molti di questi fondi sono esposti a squilibri di liquidità. Per questo il comparto rischia di amplificare gli shock di mercato considerando la stretta interconnessione con gli istituti di credito”.
Questo si legge nell’ultimo Financial Stability Review della Banca centrale europea che, rispetto alla precedente, ritiene possibili ulteriori cambiamenti nei prezzi degli asset, innescati da eventi politici nelle economie avanzate e dalle vulnerabilità dei mercati emergenti. In particolare, “le implicazioni per l’area euro in seguito ai cambiamenti delle politiche economiche degli Stati Uniti sono molto incerte al momento. L’impatto per l’Eurozona potrebbe arrivare direttamente attraverso i canali commerciali o indirettamente attraverso gli effetti secondari degli aumenti dei tassi di interesse e delle aspettative di inflazione negli Usa”, afferma la Bce.
Inoltre “la vulnerabilità delle banche europee resta significativa, con le prospettive di redditività che restano basse in un contesto di moderata crescita economica. Le sfide strutturali del comparto derivano dall’ammontare elevato di non performing loans, dagli alti costi operativi e dalla capacità in eccesso”. Per la Bce poi i rischi riguardano anche l’economia reale. In particolare, potrebbero riemergere i timori sulla sostenibilità del debito nonostante le condizioni relativamente favorevoli dei mercati finanziari. Le maggiori incertezze politiche potrebbero portare i governi a definire agende più focalizzate a livello nazionale e meno favorevoli alla crescita. “Tutto questo, a sua volta, potrebbe ritardare le riforme fiscali e strutturali e innescare altre pressioni sui rating sovrani dei Paesi più deboli, nello scenario peggiore”.