Concentrazione e diversificazione rappresentano due approcci di investimento opposti, ciascuno con i propri vantaggi e rischi. Investire in poche aziende può portare a guadagni elevati se queste hanno successo, ma espone anche a rischi significativi in caso di eventi avversi. L'imprenditore Warren Buffett, ad esempio, ha costruito la sua fortuna concentrandosi su poche società di alta qualità, come Apple e Coca-Cola. La diversificazione, invece, preferita da molti investitori, riduce il rischio distribuendo i fondi su una vasta gamma di asset, ma può limitare il potenziale di guadagno poiché si diluiscono anche i rendimenti. Un esempio iconico è quello di Ray Dalio, fondatore di Bridgewater Associates, che promuove la diversificazione attraverso una varietà di asset class. Il confronto tra questi due approcci di investimento è stato affrontato in occasione del Fund Selector Talks organizzato da FundsPeople lo scorso 13 marzo. Per i fund selector e gli asset manager presenti all’evento, concentrazione e diversificazione possono essere altrettanto rilevanti. La chiave resta trovare un equilibrio che si adatti al proprio profilo di rischio e agli obiettivi finanziari di lungo termine.
Azionario, concentrazione e diversificazione a confronto
Alasdair McHugh è un investment director nel team di Global Equities di Baillie Gifford che gestisce “un portafoglio concentrato su 37 titoli growth con un’ottica di lungo periodo”. L’esperto afferma che “sono poche le società che contano davvero” e per spiegare questo concetto cita “uno studio di un professore dell’Arizona State University che ha esaminato i mercati azionari globali per quasi 30 anni. L’analisi ha coinvolto 61 mila aziende e le ha classificate in base ai rendimenti che hanno generato in quel periodo. Dalla ricerca è emerso che il 61% delle imprese ha distrutto valore, il 38% ha realizzato una performance di poco inferiore a quella dei titoli di Stato americani a breve scadenza, mentre tutta la ricchezza creata nei mercati in questi 30 anni, ovvero 45 mila miliardi di dollari, è attribuibile a sole 811 società. Un dato ancora più sorprendente è che 23 mila miliardi di dollari sono stati realizzati da poco più di 100 aziende”. Per McHugh, quindi, un investitore “dovrebbe concentrare i propri sforzi nella ricerca delle imprese che fanno la differenza e detenerle in portafoglio in ammontare rilevante e per un lungo periodo di tempo”. Nel processo di selezione delle società in cui investire, evidenzia l’esperto, “non siamo interessati a guardare al passato per cercare di estrapolare trend futuri. Pensiamo con immaginazione al futuro, a quello che potrebbe succedere nel lungo termine. L’intelligenza artificiale, per esempio, è una tecnologia con un enorme potenziale dirompente”.
1/3Enrico Pellicciari, multi-asset portfolio manager di Bper Banca Private Cesare Ponti, ricollegandosi all’intervento di McHugh, fa due considerazioni. In primo luogo, l’esperto fa notare che "in questo contesto di mercato, la dinamica dei corsi azionari può essere particolarmente influenzata dall’andamento di pochi titoli ben rappresentati negli indici di mercato. Ad esempio, basti pensare a quanto la performance dei portafogli nel primo trimestre del 2024 sia stata impattata dalla presenza o meno di una sola società: Nvidia. Inoltre, dato l’alto livello di concentrazione raggiunto degli indici azionari globali ed il conseguente effetto che il newsflow sui principali titoli ha su gli indici stessi, riteniamo particolarmente importante monitorare le principali esposizioni dei fondi in cui investiamo, prestando maggiore attenzione verso le strategie contraddistinte da alta concentrazione e basso turnover, tipicamente caratterizzate da un rischio idiosincratico maggiore”. La seconda osservazione riguarda la caratterizzazione dei portafogli verso stili value o growth. Pellicciari ritiene “che le tradizionali classificazioni delle azioni in categorie growth e value stiano diventando meno distinte e possano oscurare caratteristiche specifiche delle aziende. Spesso non è infatti possibile classificare le società come puramente growth o value, in quanto possono mostrare attributi riconducibili ad entrambi gli stili”. In generale, continua l'esperto, "il modo in cui gestiamo ed equilibriamo il rischio/rendimento derivante da scelte di stile value o growth prevede: da un lato, favorire strategie Blend che tatticamente adattino il portafoglio a seconda delle evoluzioni di mercato, dall'altro, avvalersi di un oculato presidio dei rischi di portafoglio, monitorando eventuali bias di stile derivanti da ciascun investimento. Successivamente, viene valutato se l’esposizione del portafoglio derivante da tali analisi sia in linea con le nostre aspettative, vagliando, in caso contrario, possibili modifiche all’assetto di portafoglio o alle strategie in cui siamo investiti”.
2/3Andrea Florio, head of products development, di Zurich Bank, nell’ambito del processo di selezione degli investimenti azionari, non si concentra “sui singoli titoli presenti nel portafoglio perché per noi l’elemento principale che guida la valutazione di una strategia è l’equilibrio che la stessa sa offrire in diversi contesti di mercato”. L’esperto ritiene quindi che sia “davvero poco significativo selezionare una strategia solo in base ai sottostanti e/o alla visione sul settore. Una strategia azionaria va valutata, oltre che per storicità, team di investimento e dimensione, anche e soprattutto per la capacità da parte del gestore di generare business case bottom up e per l’abilità di costruire un portafoglio equilibrato. Un altro aspetto significativo è legato ai processi d’investimento: nel contesto attuale, è essenziale che la strategia possa basarsi su una solida analisi fondamentale che le consenta di modificare le scelte d’investimento con una dinamicità tale da compensare repentini movimenti di mercato enfatizzati negli ultimi anni dalla rapidità dei flussi degli strumenti passivi”.
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