I criteri ambientali, sociali e di governance perdono terreno nella narrazione delle società di gestione, ma sono ormai radicati nella normativa e necessari per il buon funzionamento del mercato.
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L’attenzione sulle tematiche ESG è calata. Almeno, si assiste a una fattuale riduzione dell’interesse da parte del mondo finanziario. “Non mi soffermerò sulle cause che hanno portato il tema fuori dai riflettori, ma le motivazioni dell’integrazione ESG all’interno dei portafogli non sono state superate”, afferma Manuela Mazzoleni, direttrice sostenibilità e capitale umano di Assogestioni nell’introdurre la conferenza “È ancora tempo di ESG!” che si è tenuta nella seconda giornata di lavori del Salone del Risparmio 2024. Nel definire le motivazioni l’esperta cita, in primis la possibilità di osservare rischi e opportunità di investimento e, al di là del criterio economico (“e dell’imperativo morale che alcuni investitori sentono”), occorre “prendere atto del fatto che la sostenibilità è integrata nella normativa”.
Il 40% degli AuM gestiti in Italia è oggi articolo 8 o articolo 9 SFDR, inoltre “nei prossimi anni sarà applicata progressivamente la CSDR e le società si stanno attrezzando sui criteri da introdurre (sulla base delle indicazioni dell’Efrag), per cui la valutazione di tali criteri si pone al centro dell’attività di gestione”. Occorre poi fare chiarezza sull’importanza degli ESG come fattori di mitigazione del rischio, in tal caso “la gestione del rischio ESG non si deve limitare ai soli prodotti sostenibili ma deve estendersi a tutti i prodotti in cui questo rischio è rilevante”, afferma Marco Becht, professore di finanza della Solvay Brussels School of Economics and Management intervenuto alla conferenza insieme a Michele Siri, professore ordinario di diritto commerciale dell’Università di Genova. In continuità con l’analisi di Becht, Siri apporta ulteriori elementi di attenzione, relativi al “buon funzionamento del mercato, indipendentemente dalla domanda degli investitori. Questo – afferma – ha a che fare con il meccanismo di determinazione dei prezzi e con l’efficienza allocativa”. Il docente ricorda poi come diversi studi dimostrino che “le società che non valorizzano il rischio climatico iniziano a trattare a sconto. Per cui, indipendentemente dalla domanda degli investitori (legata a diversi elementi, come ad esempio la volatilità), ci sono buone ragioni per i policy maker per continuare in direzione della regolamentazione ESG)”.
Un tema di portfolio construction
Alla luce della riflessione in termini di rischio (che incorpora al suo interno le diverse declinazioni dell’investimento ESG, compreso il tema dell’engagement) l’esperienza degli stessi asset manager diventa centrale per comprendere il qui e ora del fenomeno (da un punto di vista economico, finanziario e sociale). L’analisi del “passato” degli investimenti ESG restituisce un settore in cui le performance sono positive. Eppure, afferma Alexia Giugni, head of governance EMEA-ex Germany and Austria di DWS, “permane una sorta di scetticismo”. Gli investitori, afferma, “ci stanno chiaramente dicendo che è un tema di performance ma anche di portfolio construction”. A questo si associa la necessità di maggiore definizione della governance, strumento fondamentale in ottica forward looking. Tuttavia Giugni richiama l’attenzione sulle dinamiche introdotte da normative stringenti (come SFDR), e il rischio che queste “allontanino gli investitori da società che devono ridurre la propria carbon footprint, riducendo in tal modo i potenziali benefici per l’ambiente” (le dinamiche della finanza di transizione, insomma).
Linguaggio comune
In ogni caso, Federica Calvetti responsabile ESG & strategic activism di Eurizon insiste su un punto relativo al Regolamento UE, che definisce un “regime di trasparenza”. Il punto di forza di SFDR è l’aver fornito “un linguaggio comune”, tuttavia essendo arrivato su un mercato “in alcuni casi non ancora pronto, ha fatto sì che le indicazioni venissero declinate in modi diversi. Per cui si ha un’informativa sì standardizzata, ma variegata a livello di messaggistica sottostante”, afferma Calvetti.
Sempre in tema di SFDR Carmine Da Fermo deputy chied investment officer di Sella SGR sottolinea come il Regolamento UE abbia operato un passaggio “da una logica di prodotto a una logica di ragionamento sulla sostenibilità che coinvolge tutti i processi della società”. Il passo ulteriore, afferma, è “abbracciare la transizione, anche con il controllo delle emissioni”. Elena Ferrarese, head of italian equity di Amundi SGR focalizza infine l’attenzione sui punti di debolezza da migliorare nelle aziende investite. E cita l’esempio dei PIR “è interessante vedere come aziende italiane con capitalizzazioni contenute abbiano avviato un’apertura molto forte in tal senso, ma si tratta di uno sforzo per loro importante”. In questo percorso l’engagement gioca un ruolo fondamentale “ma va commisurato con la realtà dell’azienda e con la coerenza con un ritorno finanziario”.