L’Osservatorio Moneyfarm sui numeri della previdenza integrativa mette l’accento sui numeri della crisi delle pensioni in Italia. E a soffrire di più saranno le lavoratrici, con assegni in media del 26% più leggeri rispetto a quelli dei lavoratori.
Per accedere a questo contenuto
Nel 2024 il rapporto tra spesa pensionistica e PIL (uno degli indici con cui si misura la sostenibilità del welfare pubblico) salirà al 16,2% dal 15,8% del 2023. Il dato è sottolineato da Moneyfarm in un’indagine sullo stato di salute della previdenza integrativa nel nostro Paese, ed è motivato anche alla rivalutazione delle pensioni per effetto dell’inflazione e che inciderà in modo significativo sul futuro del sistema (solo nel 2010 lo stesso rapporto era pari al 15%). “La situazione è così delicata – sottolineano gli analisti – che la Riforma 2024, per la prima volta dalla Riforma Monti-Fornero del 2011, ha modificato le regole non solo per chi è vicino all’età pensionabile (Quota 103 e Opzione Donna), ma anche per quanti hanno iniziato a lavorare a partire dal 1996 e rientrano nel sistema di calcolo contributivo”.
I numeri della crisi
I numeri, d’altronde, sono esplicativi. Per quanti sono entrati nel mercato del lavoro dopo il 1996 si allontana la pensione anticipata (tre anni prima del requisito di vecchiaia a 67 anni): tali soggetti potranno andare in pensione con un assegno mensile pari ad almeno 1.320 euro netti (tre volte l’assegno sociale, prima era 2,8); soglia che scende a 2,8 per le lavoratrici con un figlio, e a 2,6 per quelle con due o più figli. Negli anni dell’anticipo, poi, la pensione non potrà essere più elevata di circa 2.230 euro netti al mese (38.910 euro lordi annui, cinque volte il trattamento minimo). Mentre per le pensioni basse la soglia del “ritiro” con la pensione di vecchiaia contributiva è passata da 672 euro netti al mese, a 534 euro netti.
Nonostante questi dati preoccupanti, resta ancora ridotto il numero di italiani che si affidano a uno strumento di previdenza integrativa: soltanto il 26%, e nel periodo 2007-2022 solo il 22% del TFR è stato destinato a questo tipo di strumenti. Tra l’altro, a fine 2022, si registrano quasi 2,5 milioni di “silenti”, ossia persone che possiedono un fondo pensione ma che hanno smesso di versare, dei quali circa la metà da oltre cinque anni.
Il caso studio
Moneyfarm, in collaborazione con Smileconomy, ha elaborato un caso di studio ad hoc su otto profili di uomini e donne italiani, pari a 3.182.376 abitanti (poco più del 5% della popolazione) che nel corso del 2024 compiranno 30, 40, 50 e 60 anni (ossia i nati nel 1994, 1984, 1974, 1964) e che andranno in pensione tra il 2031 e il 2062 (M30, M40, M50, M60, F30, F40, F50, F60).
Per quanto riguarda la pensione pubblica:
- per quel 53% di occupati in queste fasce d'età, rappresentativi di 1.694.007 lavoratori, l’età di pensionamento va dai 65 anni e 6 mesi dei cinquantenni fino ai 68 anni dei trentenni;
- la stima dei valori delle pensioni medie nette oscilla tra gli 881 euro delle donne 50enni e i 1.282 degli uomini 60enni, con una media complessiva per gli otto profili di 1.125 netti al mese;
- i tassi di sostituzione percentuali cadono a picco per le nuove generazioni, passando dal 66% di coloro che oggi hanno 60 anni al 46% per le donne che compiranno 30 anni nel 2024.
Donne (sempre) svantaggiate
Per il valore della pensione è stata considerata la curva media di evoluzione dei redditi nel tempo dei lavoratori dipendenti del settore privato. La forbice tra uomini e donne è significativa, nell’ordine del 17-18% per le donne 30-40enni e del 21-22% per le 50-60enni, con una media del 19,7 per cento. Basandosi su stime ottimistiche (ossia una continuità lavorativa, di lavoratori dipendenti, dai 25 anni fino al pensionamento e il permanere dell’attuale legislazione) gli analisti rilevano in forma tangibile l’effetto della forbice salariale sul valore dell’assegno pensionistico (soprattutto al crescere dell’età), con differenze comprese tra il 14 e il 26%, e una pensione media di 1.256 euro per gli uomini e di 994 per le donne.
Pensione integrativa
Si arriva poi ad analizzare la presenza o meno di una previdenza integrativa nella percentuale già citata (53%) dei lavoratori occupati sul campione totale oggetto di analisi. Emerge come soltanto il 35% di questi abbia una pensione integrativa che garantirebbe, al momento del ritiro, un assegno medio di 263 euro al mese (290 per gli uomini, 235 per le donne, con una forbice del 23%).
Si va quindi ad analizzare anche in questo caso le fasce di età: gli uomini 30enni di oggi che hanno già iniziato a contribuire potranno ottenere 432 euro netti al mese. Tuttavia, soltanto il 30% dei lavoratori e il 22% delle lavoratrici in questa fascia di età è oggi in possesso di un fondo pensione.
Sommando previdenza pubblica e complementare:
- dei 3.182.376 cittadini (inclusi anche gli inattivi e i disoccupati) nati negli anni oggetto di indagine, soltanto il 19% ha un fondo pensione e potrebbe garantire complessivamente 1.387 euro netti al mese;
- il 35% del campione non ha un fondo pensione e potrebbe quindi contare solo della pensione pubblica, di 1.125 euro netti al mese;
- un 7% di inoccupati potrebbe avere un fondo pensione, ma probabilmente ha smesso di versare;
- il restante 39% potrà sostenersi solamente con pensioni già in erogazione o altre forme assistenziali.
L’identikit di chi versa in previdenza integrativa
Moneyfarm ha anche realizzato un identikit dell’aderente medio alla previdenza integrativa. Emerge come si tratti di un soggetto tipicamente di sesso maschile (nel 62% dei casi), di circa 47 anni e con versamenti di 177 euro mensili, con un capitale pari a 22.180 euro. Numeri insufficienti, ma che sono aggravati dalla scelta di riscattare l’intero capitale al termine del percorso.A livello nazionale, a fine 2019, sono stati accantonati 206 miliardi in previdenza integrativa, per quasi una posizione su quattro, tuttavia, il capitale accumulato non supera i mille euro complessivi.
“L’industria del risparmio gestito è chiamata ad attivarsi per stimolare la consapevolezza dell’inadeguatezza della sola previdenza pubblica e ad accompagnare lavoratori e non nella scelta della forma di pensione integrativa più adatta alle loro esigenze, aiutandoli a comprendere meglio le caratteristiche dei prodotti presenti sul mercato, i loro benefici e a superare l’inerzia che spesso impedisce di pensare concretamente al proprio benessere futuro”, afferma Andrea Rocchetti, global head of investment advisory di Moneyfarm.