Scarse adesioni a fondi pensione e scelta di prodotti eccessivamente conservativi minano le potenzialità di integrazione della previdenza pubblica. La ricerca di Anima su un campione di 802 “bancarizzati”.
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Italiani ancora indietro nella previdenza integrativa. O meglio: capiscono l’importanza dei fondi pensione, ma spesso non ne conoscono i vantaggi. È quanto emerge dalla ricerca di Anima SGR sulla “consapevolezza previdenziale” dei risparmiatori del nostro Paese condotta lo scorso dicembre su un campione di 802 “bancarizzati” (ossia possessori di un conto corrente/libretto bancario/postale) fra i 25 e i 65 anni, con accesso al web, e rappresentativo per genere, età e luogo di residenza.
“Assicurarsi un futuro previdenziale sereno è una priorità per la maggioranza degli italiani, che però spesso non riescono, per diversi motivi, a porne le basi – commenta Pierluigi Giverso, condirettore generale di Anima – Per superare questa impasse è necessario rendere tangibili, con un linguaggio semplice e argomenti concreti, i vantaggi immediati e futuri dell’accesso a un fondo pensione e diffondere così l’adozione di buone pratiche di investimento previdenziale.”
I risultati
L’analisi dei risultati restituisce uno scenario in cui gli italiani sono, sì, consapevoli che una volta in pensione la previdenza pubblica non potrà garantire lo stesso tenore di vita degli ultimi anni di lavoro (anzi, il 90% dei rispondenti ritiene il problema “molto” o “abbastanza rilevante); tuttavia soltanto il 54% di quanti hanno partecipato all’inchiesta ha attivato una forma di previdenza integrativa. Su quest’ultima percentuale, poi, prevale una larga fetta di soggetti che non alimentano i prodotti di risparmio previdenziale: dal confronto con la relazione annuale Covip (2022) emerge infatti come “rapportando il numero totale degli aderenti alle varie forme di previdenza complementare alle masse amministrate complessive, risulta che a ogni aderente corrisponde, in media, una posizione pari a 22.180 euro, insufficiente per integrare in modo adeguato la pensione pubblica per molti anni”, si legge in una nota.
Cause e soluzioni
A motivare questa scarsa partecipazione al proprio futuro previdenziale “la scarsa familiarità con la previdenza integrativa e i suoi vantaggi (conosciuti “adeguatamente” soltanto dal 39% del campione) o “l’inclinazione a indirizzare il capitale ad altre destinazioni”. Ad esempio: quasi la metà di chi dispone di un TFR dichiara di lasciarlo in azienda.
Per migliorare la scarsa alfabetizzazione previdenziale, la maggioranza del campione evidenzia la necessità di sottolineare i vantaggi concreti della previdenza integrativa, con maggiori informazioni su: flessibilità nel disporre del capitale accumulato prima del pensionamento (83% delle preferenze), deducibilità fiscale dei versamenti (76%) e possibilità che l’azienda versi un contributo aggiuntivo (75%).
Tuttavia la limitata dimestichezza con gli investimenti di lungo periodo si riflette anche sul peso assegnato a linee di investimento garantite o conservative, preferite dal 39% dei rispondenti (con un picco del 46% delle preferenze tra le donne), mentre soltanto il 15% opterebbe per una linea prevalentemente azionaria o azionaria.
Le priorità
Alla domanda sugli “incentivi” all’adesione a un piano previdenziale integrativo, il campione analizzato mette in cima una “maggiore flessibilità nell’accedere al capitale prima del pensionamento”, segue una “riduzione della tassazione sui rendimenti, dall’aggiustamento dei benefici fiscali all’inflazione e dall’aumento del massimo deducibile dall’Irpef (slide 6).
Due terzi dei dipendenti, inoltre, sarebbe disponibile a chiedere alla propria azienda di aprire una convenzione con un fondo pensione aperto e oltre otto su dieci ritengono che un’azienda impegnata su questo fronte sia ben posizionata per fidelizzare i dipendenti.