Manzi (Banca di San Marino): "Cerchiamo strategie più semplici"

Denis Manzi
Denis Manzi, foto ceduta (Banca di San Marino)

Per Denis Manzi, chief investment officer di Banca di San Marino, c’è poco da fare: il mondo è sempre più veloce e complesso. Una frase che sintetizza la situazione attuale sul fronte macroeconomico, geopolitico e soprattutto sui mercati finanziari. “Se i decenni precedenti erano stati caratterizzati da periodi di crisi abbastanza radi, intervallati da lunghi momenti di sostanziale tranquillità, i primi tre anni del nuovo decennio hanno visto in sequenza una pandemia gravissima, lo scoppio di una guerra nel mezzo dell’Europa ed il secondo più grande fallimento bancario negli USA per grandezza degli attivi (quello di Silicon Valley Bank), oltre alla crisi di Credit Suisse”, commenta Manzi. Secondo l’esperto, in fondo, se la digitalizzazione e l’iper-connessione ha contribuito a migliorare un po’ l’esistenza di tutti, dall’altro lato con dei semplici click si può innescare in poche ore una delle più grandi fughe dei depositanti mai vista prima: “sono ben lontani i tempi in cui John Pierpont Morgan, per rallentare la fuga dei depositanti che nel 1907 portò al fallimento di diverse banche, diede ordine ai cassieri di rallentare il ritmo con cui contavano i soldi richiesti dai depositanti”, racconta.

Ritorno del classico portafoglio bilanciato?

Dopo anni di bonanza monetaria, ci troviamo a virare verso una politica monetaria restrittiva. “La conseguenza è stato un bagno di umiltà per il mondo della gestione finanziaria, specialmente per coloro che si erano fatti prendere la mano dalla frenesia speculativa, ma anche le strategie più semplici e collaudate hanno sofferto particolarmente. In effetti, il 2022 si è rivelato l’anno peggiore dagli anni ’30 del 900 per un classico portafoglio bilanciato, con risultati non distanti da un -20 per cento. È sempre facile parlare con il senno di poi, ma con valutazioni estremamente elevate sugli attivi più volatili e tassi di interesse al lumicino, i rendimenti attesi erano matematicamente bassi”.

La buona notizia, per il CIO, però è che nel 2023 la situazione sembra migliore. “È lecito attendersi come un’allocazione tradizionale bilanciata tra azioni ed obbligazioni potrebbe tornare ad offrire quello che nella normalità dei fatti dovrebbe offrire, ovvero un andamento decorrelato tra le due componenti di portafoglio, in grado quindi di fornire rendimenti attesi interessanti con una volatilità contenuta. Livelli dei tassi di interesse ai valori attuali, infatti, dovrebbero permettere all’asset class obbligazionaria (soprattutto la componente governativa con merito di credito medio-alto) di fungere da cuscinetto e soprattutto regalare un andamento poco correlato alla (normale) volatilità dei mercati azionari, con un carry che, da un punto di vista nominale, non appare disdicevole”.

Sul credito Manzi si dice abbastanza positivo sulla componente investment grade, mentre rimane più scettico sugli high, yield, che potrebbero risentire in maniere più importante di questo continuo rialzo dei tassi d’interesse. Da non sottovalutare anche la liquidità: “ora è in grado di offrire quel porto sicuro per cui viene solitamente inserita nei portafogli, dando chiaramente un rendimento non elevato ma comunque positivo, cosa che invece risultava una chimera negli ultimi anni, a causa dei tassi di interesse negativi in area euro”, spiega. Volatilità sarà invece la parola d’ordine sull’azionario, asset class sulla quale il direttore investimenti della Banca di San Marino vede più spazio per il value che per il growth, almeno sino quando i tassi di interesse non entreranno in un trend discendente.

Fondi attivi ma non troppo attivi

Per quanto riguarda il processo di manager selection, per Manzi è importante avere la consapevolezza che non esiste una ricetta miracolosa per guadagnare sempre senza perdere mai: “non bisogna farsi influenzare dalle mode passeggere”, dice. “Quello che fa veramente la differenza è l’implementazione e la messa in atto di un processo di selezione rigoroso, ben definito, strutturato e soprattutto consistente nel tempo”.

Un mondo più complesso non significa infatti dovere per forza cercare strategie finanziarie più complesse ma anzi, il più delle volte, è la semplicità a pagare. “In effetti, per i portafogli gestiti, prediligiamo, come mi piace dire, i fondi attivi ma non troppo attivi, con benchmark ben definiti e che lavorano su classi di investimento pure e possibilmente liquide. Crediamo infatti siano più trasparenti e soprattutto ci permettono, anche in ottica di una corretta gestione del rischio, di sapere in qualunque momento a quali fattori di rischio siamo esposti ed in quale misura. Il gestore deve essere impegnato a creare alpha ma senza prendersi troppa libertà di manovra, al contrario invece della filosofia di investimento più tipica delle strategie flessibili, multi-asset, absolute return, ecc. che sono invece soluzioni dove si sposa un po’ il team di gestione, sia nel bene che nel male”, conclude il manager.

Intervista tratta dalla rivista di aprile, numero 72.