Nei portafogli degli istituzionali italiani ci sono sempre più investimenti alternativi

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Ryan Quintal (Unsplash)

Gli investimenti alternativi guadagnano strada all’interno dei portafogli degli investitori istituzionali italiani. Una crescita “significativa” degli enti che dichiarano di detenere tali strategie di investimento, con un aumento del 19% in tre anni (dal 2020 al 2022). Il dato emerge nell’analisi del terzo osservatorio Mefop “Gli investimenti alternativi nei portafogli degli investitori di welfare” a cura di Maria Dilorenzo e Antonello Motroni, Area economia e finanza di Mefop, e reso disponibile a FundsPeople. Gli autori della ricerca richiamano diverse motivazioni alla base di tale crescita, soprattutto legate all’aumento di interesse da parte dei fondi pensione, ma anche a quanto avvenuto sui mercati finanziari in tempi recenti, con la fine del Quantitative Easing e il rialzo dei tassi di interesse che, oltre ad aver spinto sull’investimento obbligazionario, hanno messo in luce le classi di attivo non tradizionale come “valido supporto alla copertura del rischio di inflazione”.

Nell’ultima edizione dell’osservatorio, Mefop ha condotto interviste tra luglio e novembre 2022 con focus sugli investimenti alternativi liquidi e illiquidi. Sono stati interrogati 101 enti con un patrimonio complessivo superiore a 233 miliardi di euro; i partecipanti allo studio si suddividono tra 72 fondi pensione, 17 casse di previdenza e 12 fondi sanitari.

Fonte: Gli investimenti alternativi nei portafogli degli investitori di welfare. I risultati del terzo Osservatorio Mefop

Gli autori della ricerca precisano fin dall’inizio l’eterogeneità della categoria degli investitori del welfare, che oltre ad avere “specifiche finalità istituzionali” si muovono all’interno di “contesti normativi, regolamentari e fiscali profondamente differenziati”. Un dettaglio sottolineato nello studio è relativo alle Casse di previdenza che, non disponendo “né di una disciplina settoriale sui limiti agli investimenti, né di regole relative ai modelli d’investimento”, hanno maggiore libertà di manovra nella definizione delle strategie finanziarie.

Diversa la realtà dei fondi pensione sia rispetto alle Casse sia rispetto ai fondi sanitari, in quanto sono tenuti a investire gli attivi secondo le indicazioni del Dlgs 252/2005 e del DM 166/2014. “L’istituzione delle funzioni di risk management e internal audit, unitamente agli sforzi compiuti in passato per conformarsi alle previsioni della delibera Covip del 16 marzo 2012, hanno consentito ai fondi pensione di dotarsi di presidi di controllo della politica d’investimento adeguati alle complessità derivanti dall’allocazione in alternativi”, scrivono Dilorenzo e Motroni.

Come anticipato, l’osservatorio dà conto di una crescita significativa degli enti che hanno dichiarato di detenere alternativi, passati dal 50% nel 2020 al 59,4% dell’edizione 2022 (+19%). E tale aumento si deve essenzialmente a quanto sta avvenendo nei fondi pensione, tra i quali la percentuale che ha dichiarato di investire in alternativi è passata dal 46,6% del 2020 al 58,3% del 2022 (+25%). Per le casse di previdenza l’allocazione in asset alternativi rappresenta una prassi consolidata: tutti i 17 gli enti partecipanti prevedono il ricorso a investimenti non tradizionali; mentre l’interesse da parte dei fondi sanitari si mantiene contenuto.

Fonte: Gli investimenti alternativi nei portafogli degli investitori di welfare. I risultati del terzo Osservatorio Mefop

Gli enti che non investono in alternativi

Tra le motivazioni addotte dagli enti che hanno scelto di non investire in asset non tradizionali la ridotta dimensione è quella maggiormente richiamata da fondi pensione e fondi sanitari (31,7%), segue la mancanza di strutture di controllo adeguate alle complessità di tali strumenti (29,3%). Si riduce, tra le cause, il tema della sufficiente diversificazione già offerta dalle asset class tradizionali (20% per i fondi pensione rispetto al 32,3% del 2020; 18,2% per i fondi sanitari rispetto al 33,3% nel 2020).

Altro elemento frenante sono i profili di illiquidità che caratterizzano gli investimenti alternativi (26,8%). Tuttavia, se invitati a esprimere un giudizio sulla possibilità di investire in alternativi in futuro, la maggior parte dei fondi pensione che attualmente si trovano nella quota dei “non investitori” dichiara di prendere in considerazione tale opportunità (70%), un 16,7% continua a escludere questa possibilità ma si rileva anche un 10% che afferma di “aver valutato opportunità d’investimento nel settore ma senza pervenire a una scelta positiva”.

Gli enti che investono in alternativi

Aumentare la diversificazione del portafoglio è la motivazione principale richiamata dai fondi pensione che hanno deciso di investire in asset class non tradizionali con l’83,3% delle risposte. Segue la “maggiore redditività attesa” col 45,2% e la “coerenza con l’orizzonte della politica d’investimento” (31%). “Non senza qualche sorpresa – sottolineano i due autori –, minore rilevanza è attribuita al tema del supporto all’economia reale, in un contesto nel quale molte delle iniziative d’investimento avviate negli ultimi mesi sono contraddistinte dalla presenza di un focus sul mercato italiano”.

Sul fronte delle Casse, invece, principale investitore in alternativi tra gli enti considerati, la ricerca di maggiore redditività è la spinta propulsiva (47,1%), mentre la diversificazione si colloca in seconda posizione 41,2% insieme al “supporto all’economia reale”.

Fonte: Gli investimenti alternativi nei portafogli degli investitori di welfare. I risultati del terzo Osservatorio Mefop

Per quanto riguarda la distribuzione degli attivi, nell’83,3% dei fondi pensione gli investimenti in alternativi sono allocati in uno o più comparti, generalmente quelli con maggiore patrimonio (comparti bilanciati 49,4% e obbligazionari misti 23,4%) e con un profilo di rischio più elevato (comparti azionari 16,9% del totale).

Complessivamente gli immobili rappresentano l’11,7% del patrimonio considerato. Gli investimenti allocati nelle altre classi di attivo non tradizionali rappresentano quote molto più contenute di patrimonio (private equity 3,5%, infrastrutture 1,8%, alternativi liquidi 0,5%, private debt 1,6%, venture capital 0,1%). “Le ragioni di tale assetto affondano nella storia degli enti: in passato le casse di previdenza hanno massicciamente investito in immobili e gli effetti di quelle scelte perdurano ancora oggi; benché in calo negli ultimi anni, dai dati Covip si evince che l’investimento immobiliare rappresenta ancora il 18,3% degli attivi”, scrivono gli autori

ESG

Un ultimo cenno va alla “considerazione dei fattori di sostenibilità nella valutazione dei progetti finanziati e dei soggetti promotori”. Il dato (61,7% degli intervistati li prende in considerazione) è in calo rispetto agli anni precedenti. Questa flessione è dovuta, a detta degli analisti, alla “importante riduzione dei fondi pensione che dichiarano di considerare aspetti di sostenibilità nella selezione degli investimenti alternativi” (-17%). La motivazione potrebbe essere legata all’introduzione di SFDR. “L’emanazione del regolamento delegato Ue 2022/1288, che ha permesso di comprendere appieno la portata dei nuovi adempimenti legati alla SFDR – spiegano Dilorenzo e Motroni –, sembra aver destato i primi effetti sulle scelte dei fondi intervistati in merito alla qualificazione dei propri comparti in un’ottica di maggior prudenza”. Questa novità normativa, tuttavia, non ha inciso sulle Casse, non soggette al Regolamento UE, che infatti bilanciano il dato complessivo nel 2022 con un +17,6% rispetto al 2021.

Fonte: Gli investimenti alternativi nei portafogli degli investitori di welfare. I risultati del terzo Osservatorio Mefop