Equita: PIR, andamento alterno per ordinari e alternativi. Il vero nodo è la liquidità per le small-cap

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Rock'n Roll Monkey (Unsplash)

Un andamento altalenante, legato a fattori contingenti e non alle performance (positive) registrate dal prodotto. È quanto stanno registrando i fondi PIR che, secondo dati Assogestioni, nel primo trimestre di quest’anno hanno visto deflussi per 779 milioni (i PIR ordinari).

Questa tendenza procede col segno meno anche ad aprile con 144 milioni: dato che porta il saldo complessivo YTD ad aprile a -923 milioni (contro i -734 milioni registrati nel 2022). In questo caso, a tirare le somme di questa stagione di “disaffezione” dallo strumento introdotto con la Legge di Bilancio 2017 è Equita nel suo “PIR monitor”. Uno strumento che ha vissuto, come noto, andamenti legati in particolare ad alterni interventi normativi che ne hanno, in alcuni casi, frenato la portata “rivoluzionaria” per gli investimenti in economia reale.

Dal loro lancio, scrive Luigi De Bellis co-head ufficio studi di Equita, “questi strumenti hanno raccolto miliardi di euro di investimenti fino a raggiungere un picco di 21,2 miliardi di AUM a fine 2021 per i PIR ordinari (mentre a fine 1Q23 gli AUM totali promossi dai 66 fondi PIR sono pari a 17,8 miliardi, mentre per i PIR alternativi stimiamo un ammontare superiore ai 3,1 miliardi)”. Dati alla mano, insomma, “I PIR hanno dimostrato di saper navigare anche nelle fasi di mercato più complesse, fornendo dei rendimenti competitivi e positivi”.

Elementi di “distrurbo”

Allora perché questa fiacchezza? Continue incertezze geopolitiche, politiche monetarie restrittive delle banche centrali, volatilità sui mercati e riduzione della propensione al rischio, sono gli elementi che cita De Bellis. Tutti fattori che “da un lato non hanno spinto verso nuove sottoscrizioni e dall’altro hanno portato a prese di profitto su strumenti che avevano registrato complessivamente buone performance su un orizzonte di cinque anni (da inizio 2017 il FTSE Italia Small Cap ha registrato +68%, il FTSE Mid-cap +58%, il FTSE Italia STAR +100%, e l’EGM +24%) usufruendo dell’agevolazione fiscale prevista per questa tipologia di prodotti” (esenzione della tassazione sugli utili e sulle imposte di successione dopo cinque anni di detenzione del prodotto).

La resilienza dei PIR alternativi

Diversa la questione dei PIR alternativi che si sono dimostrati più “resilienti” secondo gli analisti che citano ancora una volta i dati di Assogestioni in cui la raccolta netta di questi strumenti nel primo trimestre dell’anno è stata positiva per 58,2 milioni (dopo i 242 milioni complessivi del 2022) mentre gli AUM totali, promossi da 14 fondi, ammontano a 1,51 miliardi (+4% sul 4Q22). Equita, tuttavia, stima che gli AUM superino i 3,1 miliardi considerando anche i fondi non inclusi nei dati di Assogestioni. E nel frattempo resta un tema importante per il settore delle small cap che fronteggiano la problematica della liquidità (-32,5% per gli indici FTSE MID e Small CAP da inizio anno) anche alla luce dei deflussi dai fondi PIR, che in media rappresentano il 10% del flottante. “Ad oggi manca una spinta da parte del canale bancario tradizionale – scrive ancora l’analista –, mentre è soprattutto tramite le reti di promotori che questi prodotti vengono proposti ai clienti”.

Le stime di Equita

Gli analisti, nonostante una “bassa visibilità” su un recupero dei flussi netti dei PIR ordinari, si dicono convinti della bontà dello strumento con l’obiettivo di “investire in modo efficiente sulle aziende italiane, soprattutto PMI, in una prospettiva di medio lungo  medio termine, con importanti vantaggi fiscali e una diversificazione del periodo di ingresso nel tempo”. Le stime per il 2023 indicano ancora deflussi per circa 1,2 miliardi e una rimonta nel 2024-25 (+1 miliardo di raccolta netta) per i PIR ordinari. La prospettiva per il PIR alternativi è che possano raggiungere 10-15 miliardi di AUM in cinque anni (rispetto agli attuali 2,5 miliardi).

Investimento nelle PMI, istruzioni per l’uso

Equita fornisce anche una sorta di Vademecum per dare nuova linfa all’investimento in fondi PIR. Una volta preso atto che “i due grandi punti di fragilità sono la carenza di investitori istituzionali domestici e di intermediari” e che “oggi pochissimi operatori fanno ricerca”, le indicazioni degli analisti sono:

  • rivitalizzare il progetto dei PIR che ha avuto un grade successo;
  • promuovere nuovi strumenti di incentivazione per lo strumento;
  • coinvolgere le risorse di assicurazioni, banche, fondazioni, fondi pensioni ed enti previdenziali (per un totale di circa 200 miliardi di asset totali) in modo da creare una base solida di investitori istituzionali domestici;
  • assicurare incentivi fiscali per supportare la ricerca azionaria e obbligazionaria.

Il panorama di oggi vede gli investitori istituzionali esteri rappresentare oltre il 90% della capitalizzazione del mercato, e questo è un elemento di debolezza. Nei prossimi mesi/anni si assisterà a una riduzione del credito bancario “quindi, sarà importante avere un canale di finanziamento alternativo per le PMI italiane”. Qui il rimando è al disegno di legge (DDL) sulla competitività dei capitali, “insieme al regolamento sugli investimenti delle casse e degli enti di previdenza, unitamente alle proposte contenute nell'Eu Listing Act, cercano di intervenire per migliorare il mercato dei capitali. Oltre a semplificare in modo sostanziale i meccanismi di accesso e permanenza sui mercati finanziari, eliminando fattori normativi eccessivi che per molto tempo hanno reso i mercati italiani meno competitivi rispetto ad altri paesi europei, sono previsti interventi mirati per limitare gli aspetti negativi menzionati in precedenza. Tuttavia – conclude De Bellis –, è necessario fare di più”.