Inflazione USA a gennaio superiore alle attese della Fed e del mercato, la reazione degli asset manager

Bandiera Usa
Immagine concessa: Thomas Hawk (Flickr, Creative Commons)

Una sorpresa per la Fed e il mercato. Il Bureau of Labor Statistics ha pubblicato i dati sull’inflazione relativa al mese di gennaio negli Stati Uniti. L’indice dei prezzi al consumo ha evidenziato, su base annuale, un rialzo del 3,1%, superiore rispetto alle attese del mercato fissate al 2,9% (a dicembre al 3,4%). Su base mensile il CPI ha mostrato una variazione del +0,3% (aspettative fissate per un +0,2%, mese precedente +0,2%). L’indice core (ovvero esclusi energetici e alimentari) ha mostrato una crescita del 3,9% (previsioni del mercato al 3,7%, a dicembre +3,9%). Su base mensile l’aumento dei prezzi core è stato pari allo 0,4%, superiore alle attese (a dicembre +0,3% m/m).

La reazione della Fed

"Le cifre su inflazione hanno evidenziato pressioni inflazionistiche ancora forti. Tenendo conto anche delle cifre robuste sul mondo del lavoro (NFP di gennaio) crediamo che le possibilità che il FOMC, la commissione operativa della Federal Reserve, possa decidere di tagliare i tassi di interesse nei prossimi mesi siano vicine allo zero. A nostro avviso diventa sempre più probabile lo scenario che prevede un taglio del costo del denaro da parte della Fed in estate (riunione di luglio)", spiega Filippo Diodovich, Senior Market Strategist di IG Italia.

L'esperto sottolinea come la reazione sui mercati finanziari è stata violenta visto che la maggior parte degli operatori scontava un taglio del costo del denaro tra marzo e maggio. Gli indici azionari USA perdono notevolmente. "L’indice tecnologico Nasdaq perde quasi il 2%, quello dello small/mid cap Russell 2000 oltre i 3 punti percentuali. Vendite anche sull’equity europeo. Forti acquisti sul dollaro che guadagna tanto terreno contro le principali divise internazionali. Il cambio eurodollaro è sceso fino a 1,07" dice.

Michelle Cluver, Portfolio Strategist di Global X mette in luce come l'inflazione degli alloggi è aumentata dello 0,6% su base mensile o del 6% su base annua. "Questo è stato un elemento chiave nella delusione dei mercati, poiché la prossima fase della disinflazione dovrebbe essere guidata dai servizi di base", spiega. Infatti, con le pressioni sui prezzi dei beni che si sono generalmente normalizzate dopo la pandemia, l’housing e altre categorie di servizi restano un punto focale per i mercati. "La Federal Reserve vuole probabilmente delle prove che la disinflazione si sta estendendo oltre i beni, poiché ciò dimostrerebbe che la traiettoria dell'inflazione è su un percorso più sostenibile", ammette.

Secondo Greg Wilensky, head of US Fixed Income & Portfolio Manager di Janus Henderson, sebbene si potesse già considerare “chiusa la porta” di un taglio a marzo, visti i recenti commenti della Fed e i rapporti sull'occupazione, è possibile dire che adesso la porta non solo è chiusa ma è stata gettata la chiave. "Non pensiamo che un taglio a maggio sia fuori questione, ma è logico che le probabilità si siano sostanzialmente ridotte. Con questi nuovi dati, una prima riduzione a giugno sembra l'aspettativa più ragionevole, a meno che non si verifichi un brusco calo del dinamismo del mercato del lavoro o uno shock geopolitico", prosegue.

L'atteggiamento della Fed continuerà dunque a essere prudente, monitorando i dati per capire i tempi e le entità dei futuri rialzi. "La sfida sarà trovare il giusto equilibrio tra la necessità di fronteggiare le pressioni deflazionistiche e quella di fare in modo che le decisioni di politica monetaria siano in linea con il duplice mandato della Fed, che tende alla massima occupazione e alla stabilità dei prezzi", conclude Michele Morra, Portfolio manager di Moneyfarm.