Investire nel territorio, per le fondazioni l’obiettivo è mantenere una “comunità coesa”

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Simone Hutsch (Unsplash)

“Inquadrare in maniera ampia la qualità degli interventi delle fondazioni di origine bancaria e la loro vocazione a promuove il pluralismo”. È il nucleo centrale individuato da Francesco Profumo, presidente Acri e Compagnia di San Paolo, nell’introdurre il convegno virtuale “Fondazioni di origine Bancaria: un ruolo strategico per lo sviluppo delle comunità”, organizzato da Itinerari Previdenziali il 7 febbraio e preludio dell’annual meeting che si terrà a maggio a Bologna. A partire da come si articola l’azione delle fondazioni, Profumo identifica quattro legami tra le stesse e il territorio: un legame genetico del patrimonio amministrato, in quanto derivante dalle casse di risparmio originarie; un legame di destinazione, in quanto “l’attività ha come beneficiarie principali le comunità di riferimento”; un terzo legame è relativo agli “organi in cui sono rappresentate le diverse anime pubbliche e private dei territori”; e infine un legate dettato da “una precisa visione strategia, ossia il modo privilegiato per concorrere allo sviluppo e crescita sociale dei territori”. In questo modo, le fondazioni, si pongono a detta del presidente, quali strumenti perché si realizzi l’obiettivo di una “comunità coesa”.  

Un equilibrio in mutamento

E perché ciò avvenga gli investimenti hanno bisogno di essere indirizzati in maniera coerente. D’altronde come sottolinea la stessa Michaela Camilleri del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, a fronte del clima di incertezza globale che ha generato turbolenze sui mercati “le fondazioni di origine bancaria hanno adottato un approccio ‘anticiclico’ che, coniugato ai fondi di stabilizzazione, ha permesso di mantenere inalterato il flusso delle erogazioni sui territori e garantire un supporto finanziario costante alle comunità di riferimento”. Il modo in cui questo è stato garantito è stato approfondito nella tavola rotonda con le stesse fondazioni, moderata da Giorgio Righetti direttore generale di Acri il quale sottolinea le tre “linee di sviluppo” lungo cui si articolo il processo di investimento: economica, sociale e culturale. “Queste tre dimensioni vanno coniugate in maniera equilibrata perché si possa ambire a un sviluppo sostenibile in grado di garantire il benessere dell’attuale e, soprattutto, delle future generazioni”. Un equilibrio, ammette Righetti, “messo a dura prova dai continui e repentini mutamenti del contesto sociale che viviamo oramai da decenni”.

Rispondere ai bisogni abitativi

Appunto in risposta alla suggestione aperta da Righetti, Andrea Severi segretario generale Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì​, spiega l’esperienza della fondazione in un ambito preciso, quello dello student housing. Nell’asset allocation, sottolinea Severi, “c’è spazio per crescere sull’immobiliare, creare impatto e ricaduta concreta sul territorio” e ricorda la risposta al bisogno di residenzialità universitaria “ben formulata” da Cassa Depositi e Prestiti con l’istituzione del Fondo nazionale abitare sostenibile (FNAS) intervenuto non soltanto nelle città sedi dei grandi atenei (Milano, Roma, Bologna, Torino, Padova e così via), ma anche in città di dimensioni inferiori come Forlì che ogni anno richiamano migliaia di studenti. “Da qui la scelta di sottoscrivere il fondo”. L’investimento, specifica, è ancora in fase implementativa ed è avvenuto per patrimonio e non tramite erogazione. “Un investimento di cinque milioni come quello sottoscritto, per una Fondazione che eroga dai 10 agli 11 milioni anno, sarebbe stato eccessivamente significativo anche se fosse stato fatto col conto economico a livello pluriennale”.

Antonella Ansuini, responsabile investimenti e gestione finanziaria Fondazione Cariparo si concentra invece sulle esigenze di sostenibilità con cui sono chiamati a confrontarsi gli investitori istituzionali, nel caso di Cariparo, indica come la fondazione abbia adottato “una politica di investimento responsabile su tutto il portafoglio, sia attraverso fondi erogativi, sia attraverso fondi patrimoniali”.  E per descrivere il lavoro in atto, utilizza un riferimento mitologico: la metafora della nave di Teseo (ossia il paradosso dell’identità originaria, quanto una cosa resta fedele a sé stessa nel tempo mentre le sue componenti mutano). “La nostra fondazione ha inserito i principi di investimento responsabile in forma graduale ma non trasformativa, proprio come la nave di Teseo è legata alla sua identità pur evolvendo le fondazioni restano radicate al proprio codice genetico quando utilizzano queste modalità di investimento”, afferma l’esperta.

Nuovi modi di intervenire sulle comunità

Sono due, invece, gli esempi portati da Francesco Ceci, chief investment officer Fondazione Cariplo: il social housing, in cui la fondazione è attiva dal 1999, e il social venture (“con l’iniziativa partita qualche anno fa con la costituzione della fondazione Giordano Dell’Amore”). Sul primo fronte, l’ultimo investimento significativo risale al 2019 “con la promozione, insieme ad altri investitori, della società benefit Redo SGR, focalizzata su social housing, edilizia universitaria e rigenerazione urbana” a Milano e in Lombardia. Mentre sul social venture capital, Fondazione Giordano Dell’Amore ha avviato un fondo “che finanzia startup a impatto sociale prevalentemente in Lombardia, con il compito di espandersi a livello nazionale e l’obiettivo di coinvolgere categorie di lavoratori disagiate. Tra le 50 di partecipate adesso in portafoglio – afferma Ceci –, otto hanno avuto fondi non solo dalle fondazioni ma anche da investitori esterni”.

Anche Marcello Bertocchini, presidente Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca parla di housing sociale ma coniugandolo in maniera differente. “Il tema dell’housing, nel nostro caso, è stato affrontato con l’acquisto diretto di appartamenti: un investimento in patrimonio che si è consolidato negli ultimi 12-13 anni”, afferma. In un certo senso, la scelta è stata agire in una sorta di “autarchia” (con la citazione del primo film di Nanni Moretti “Io sono un autarchico”): “Siamo intervenuti sul mercato dell'invenduto”, e senza consumare nuovo suolo, afferma Ceci. A oggi la Fondazione ha “oltre 60 appartamenti di proprietà gestiti in questo modo”, a cui si aggiunge un “effetto moltiplicatore” dato dall’ingresso in iniziative di enti locali (in questo caso della Regione Toscana), con cui “siamo riusciti a recuperare circa il 50% dell'investimento a fondo perduto, messo poi a disposizione di un istituto pubblico appositamente dedicato affinché a sua volta reinvesta nel migliore interesse possibile per la comunità in cui operiamo”.

Carlo Mannoni direttore generale Fondazione di Sardegna, ricorda infine come quella in cui opera la fondazione sia una realtà “periferica da tutti i punti di vista, anche quello fisico”. Appunto la caratteristica dell'insularità, afferma l'esperto, “ci impone, in un contesto non particolarmente ricco, il compito di provare ad attivare processi di investimento”. Il tema del social housing è già stato avviato, se pure Mannoni indichi un “certo ritardo”, mentre un tema che emerge nel resoconto del DG è legato all’investimento in infrastrutture. “Siamo impegnati in un percorso di evoluzione del sistema aeroportuale sardo, e questo avviene tramite un investimento secondo una logica mission related". Logica che, in ultima analisti "è l’essenza del lavoro delle fondazioni, in questo caso espressa tramite un investimento in infrastrutture e crescita”.