Investitori istituzionali, un patrimonio da quasi mille miliardi (nonostante un 2022 nero per i rendimenti)

Foto FundsPeople

Il patrimonio complessivo degli investitori istituzionali italiani ammonta a 966 miliardi di euro (206 per la sola previdenza complementare). Grandezze che mostrano l'incidenza del settore sul PIL nazionale, pari al 51 per cento. Tuttavia, nel 2022, si è assistito a un’interruzione alla lunga serie di anni in cui i rendimenti dei fondi pensione hanno “battuto” il TFR (che nel 2022 ha fatto segnare +8,3%). Il dato è concreto (e già in ripresa) ma è destinato a lasciare traccia nella storia decennale del Report di Itinerari Previdenziali “Investitori istituzionali italiani: iscritti risorse e gestori per l’anno 2022”, presentato ieri, 11 settembre, presso la Sala Parterre di Borsa Italiana a Milano. La performance dei fondi rispetto al TFR si posiziona come risultato del repentino cambio di passo delle politiche monetarie messo in atto nel 2022, con l'ampio e fulmineo rialzo dei tassi di interesse. Si è trattato, come sottolinea Alberto Brambilla, presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali “della prima volta in cui si è assistito a rendimenti fortemente negativi”, tanto che “c’è stata una perdita di valore”. A eccezione delle fondazioni di origine bancaria (+3,5%) e delle gestioni separate (+1,2%), gli istituzionali italiani hanno registrato infatti tutti un segno meno: -11,5% e -10,7% rispettivamente per PIP - Unit Linked e fondi aperti; -9,8% per i fondi negoziali; e -4,4% per i preesistenti.  Tuttavia, Brambilla precisa che nel valutare la redditività “su orizzonti temporali più coerenti con il risparmio previdenziale, emerge come la buona diversificazione degli investimenti abbia consentito di mantenere un vantaggio nella media a dieci anni sia per i rendimenti composti sia per quelli cumulati, su inflazione e media quinquennale del PIL, pareggiando il rendimento del TFR”.

Fonte: Decimo Report “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2022”

A questa lettura più “organica” del dato sul 2022, si affiancano i numeri preliminari sul 2023, che nel semestre danno conto di un primo recupero, in particolare guidato dalle gestioni con una maggiore esposizione azionaria, il che porta a giugno 2023 i negoziali a segnare un +3,2%, i fondi aperti 4,6% e 4,8% i PIP di ramo III, mentre le gestioni separate di ramo I hanno segnato un +0,6 per cento. Nello stesso periodo il TFR cresce del 2,3%, mentre l’inflazione decelera dall’8,1 di dicembre 2022 al 6,4% di giugno su base annua. “Il 2023 dovrebbe caratterizzarsi, dunque, come un anno di parziale recupero (anche se non facile) per tutti gli investitori istituzionali”, auspica Brambilla.

Il patrimonio

Al di là della frenata in termini di redditività il settore degli istituzionali si dimostra in salute in termini di nuovi afflussi e patrimonio tanto che quest’ultimo è passato da 142,85 miliardi di euro del 2007 a 278,75 miliardi del 2022: un incremento del 95% di cui, circa l’80% “affidato direttamente o indirettamente a gestori professionali seguendo un trend in continuo aumento negli ultimi anni” si legge in una nota. Il patrimonio, a dicembre 2022, è pari al 14,6% del PIL, se si considerano unicamente fondi pensione negoziali e preesistenti, Casse Privatizzate, Fondazioni di origine Bancaria e forme di assistenza sanitaria integrativa, tuttavia questo rapporto cresce a 51 punti con l’inclusione del welfare privato (Compagnie di Assicurazione del settore vita, rami I, IV e VI, fondi aperti e PIP).

Da un confronto a livello internazionale, poi, guardando alla sola previdenza complementare, nella classifica per patrimonio dei fondi pensione stilata dall’OCSE su 38 Paesi l’Italia occupa il 12° posto (13° considerando anche gli altri 30 Paesi non appartenenti all'area OCSE). “Se si considera che il rapporto tra il patrimonio dei fondi pensione e il PIL è pari al 9,7%, quando in molti altri Paesi supera il 50%, risulta evidente come il nostro sia un mercato già molto interessante, ma con alte potenzialità di sviluppo, soprattutto se verranno implementate le necessarie riforme in termini di fondo di garanzia per le microimprese e le PMI (eliminato dal Governo Prodi/Damiano nel 2007) e la revisione fiscale prevista nella delega”, rimarca il presidente del centro studi.

I numeri

Nel dettaglio dei numeri del settore, il 10° report di Itinerari Previdenziali analizza 330 player istituzionali operativi a fine 2022.  Si tratta di 86 Fondazioni di origine Bancaria, 20 Casse Professionali Privatizzate, 33 fondi negoziali e 191 fondi preesistenti, cui si aggiungono poi Casse e fondi di assistenza sanitaria integrativa (321 in base agli ultimi dati ufficiali del ministero della Salute, fermi al 2019). Nel settore privato, oltre alle Compagnie di Assicurazione, operativi 40 fondi pensione aperti e 68 PIP “nuovi” per un totale di 108 unità, quattro in meno rispetto ai 112 del 2021 e in netta riduzione rispetto ai 135 del 2012. Dei 68 PIP, 36 sono chiusi al collocamento. Sul fronte degli investimenti si assiste a un continuo ampliamento del focus sull’economia reale nazionale, sorretto in particolare dalla Fondazioni di origine bancaria (circa il 44% del patrimonio investito, in gran parte dettato dalla conferitaria), seguite dalle Casse (circa il 18%), “mentre si conferma modesta la quota investita nel Paese da parte di fondi pensione negoziali e preesistenti, che si fermano rispettivamente al 4,7% e al 3,11% del patrimonio”.

Fonte: Decimo Report “Investitori istituzionali italiani: iscritti, risorse e gestori per l’anno 2022”

I protagonisti

A fronte di un crollo dei rendimenti nel 2022, come detto inizialmente, la reazione degli attori del settore è stata mantenere il sangue freddo. E rispondere, consapevoli della “straordinarietà” del momento. Tuttavia c’è chi già da qualche anno ha avviato una revisione strategia del tradizionale approccio di investimento. È il caso di Previp che, come riportato dal responsabile finanza Davide Alliori nel corso di una tavola rotonda, “consente la combinazione di quote su più linee”, logica che, nelle parole dell’esperto, “si sposa anche con la necessità di enfatizzare una maggiore flessibilità gestoria, individuando più benchmark e scegliendo all’interno delle linee di gestione i desiderata del fondo”. Anche Fondoposte aveva già avviato una riflessione negli anni precedenti (“avvalorata dallo scenario 2022”): “La popolazione del fondo si sta trasformando e sta ringiovanendo”, commenta il responsabile funzione finanza Francesco Amoroso. I due elementi fanno da corollario all’esigenza “di rinnovare una policy partita in un regime finanziario diverso da quello attuale”. Per questo motivo Fondoposte ha deciso di ampliare la sua offerta: “Stiamo attivando un comparto azionario per gli aderenti più giovani, e un comparto di uscita per ridurre il rischio. Il tutto verrà affiancato da un meccanismo di life cicle”.

Un approccio pratico contraddistingue l’analisi di Betti Candia, chief investment officer Zurich Insurance Group in Italia, che non si attende, entro la fine dell’anno un recupero delle minusvalenze ereditate dal 2022 nell’obbligazionario, “mentre la componente su cui siamo positivi (anche se non euforici) è quella azionaria”. Candia, che concentra la sua analisi sul Ramo I, sottolinea come la componente equity sulla struttura di portafoglio non sia cambiata: “abbiamo cambiato invece lo stile di gestione, che è sempre rimasto attivo, ma deve tenere conto, per particolari asset class, degli obiettivi dichiarati al mercato in termini di riduzione quantitativa delle emissioni in portafoglio e degli obiettivi di sostenibilità già esposti al mercato”.

Discorso differente per le fondazioni di origine bancaria, che nel 2022 sono tra gli istituzionali a non aver subito contraccolpi rilevanti dalle crisi dei mercati, anzi, “sono riuscite anche a far crescere le erogazioni di un 5% confermando l’indicatore di un 44% del patrimonio investito in economia reale”, commenta Marco Casale, chief financial officer Fondazione CRT che, nel riportare la complessità di lettura dei mercati sui prossimi mesi, ricorda come “la difficoltà di elaborare una strategia non significhi assenza di strategia”, per questo motivo la fondazione ha scelto di “lavorare sulla resilienza del portafoglio per renderlo meno esposto agli eventi avversi”, attraverso i parametri della diversificazione e della flessibilità sul medio lungo termine”.

L’impatto del 2022 si è configurato poi, come un’occasione per quegli attori che si trovino con un saldo positivo tra contributi e prestazioni. Certo, il rialzo dei tassi di interesse “ha creato un ritorno negativo, ma ci ha dato ottime opportunità di investimento per il 2023”, afferma Enrico Cibati, chief investment officer Cassa Forense che indica come la “disponibilità” della Cassa, le abbia consentito di tornare in velocità sull’obbligazionario e di recuperare molto nell’ultimo semestre. Il motivo di questa reazione immediata? “I portafogli delle casse in generale e di Cassa Forense nel dettaglio. sono molto ben strutturati e reagiscono in modo positivo alla asset allocation strategica, anche per questo motivo, quando il mercato è positivo riusciamo ad accelerare in maniera importante”.