Value for money: che cos’è e perché preoccupa tanto l’industria del risparmio gestito

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Foto Micheile dot com (Unsplash)

A maggio 2023 la Commissione europea ha pubblicato la Retail Investment Strategy (RIS), che si propone di fornire una maggiore protezione agli investitori al dettaglio. Oltre alle critiche mosse a questo pacchetto di misure perché introduce il divieto totale alle retrocessioni nei servizi di pura commercializzazione, c’è un altro concetto che preoccupa in modo particolare l’industria del risparmio gestito: il value for money.

In questa voce del Glossario FundsPeople spieghiamo di cosa si tratta e per informazioni più approfondite rimandiamo a questo articolo pubblicato sulla rivista FundsPeople.

Che cos’è il value for money?

In generale, significa cercare di calcolare il valore di un determinato servizio in base al rapporto qualità-prezzo, definito come l’utilità generata da ogni acquisto o da ogni importo speso.

Nel caso specifico dell’applicazione della RIS, sarà necessario identificare e quantificare in modo chiaro tutti gli oneri e i costi associati a uno strumento finanziario e stabilire se siano giustificati e proporzionati in base alle caratteristiche, agli obiettivi e, a seconda dei casi, alla strategia dello strumento finanziario, nonché al suo rendimento, realizzando un processo completo di determinazione dei prezzi.

Perché le critiche?

È proprio questo processo di determinazione dei prezzi che ha suscitato perplessità nel settore, in tutti i suoi aspetti. Infatti, la proposta della Commissione europea prevede un confronto con un benchmark per quanto riguarda i costi e i rendimenti dei prodotti finanziari. Questo indice sarà pubblicato dall’ESMA e dall’EIOPA e, a seconda dei casi, costituirà un termine di paragone che le società di gestione potranno utilizzare per effettuare gli adeguamenti necessari o perfino per decidere di non vendere un determinato prodotto agli investitori retail, se i costi non dovessero risultare adeguati.

Il problema è che in questo modo il concetto più ampio di value for money viene ridotto al mero prezzo del prodotto ed è questo l’aspetto più criticato dagli addetti ai lavori. Una percezione diffusa tra gli operatori, infatti, è che il value for money non possa essere stabilito esclusivamente in base ai costi in funzione di un benchmark che, tra l’altro, dovrà essere costruito appositamente. Il rischio è che questo processo faccia lievitare i costi sostenuti dalle case di gestione, che finirebbero per trasmetterli ai clienti.

La costruzione di un benchmark non permette di tenere conto del fatto che il prezzo dei servizi di investimento può variare notevolmente tra i diversi distributori in base a numerosi fattori, come il Paese in cui sono attivi, il volume e la portata della rete di distribuzione, il tipo di servizio, la possibilità di operare tramite canali digitali o il grado di specializzazione del personale coinvolto nella prestazione dei servizi.

Come e con chi confrontarsi?

Oltre a come quantificare e confrontare il valore qualitativo offerto da ogni prodotto o società di gestione, che non sembra rientrare nel concetto di value for money applicato dalla Commissione europea, non è affatto chiaro come si possa calcolare il valore di un prodotto utilizzando solo il criterio quantitativo del prezzo.

Sorgono interrogativi comprensibili riguardo alla metodologia (dato che non esiste uno standard europeo per raggruppare gli strumenti finanziari per natura e livello di rischio, e non è chiaro se il confronto verrebbe effettuato a livello nazionale o europeo), per non parlare della complessità di questo processo in termini di sviluppo e applicazione nel tempo.

Inoltre, questo sistema di confronto dei prezzi non tiene conto del fatto che molte società di gestione attuano anche meccanismi di investimento più sofisticati (ad esempio, con l’obiettivo di includere le caratteristiche di sostenibilità o i servizi esterni di analisi e consulenza specializzata) che fanno aumentare il costo complessivo dei prodotti, penalizzandoli nel confronto con il benchmark dei prezzi.

Infine, un altro aspetto che preoccupa l’industria del risparmio gestito è la deriva rappresentata da quello che è visto da più parti come un intervento sui prezzi, che sostanzialmente premia le grandi case di gestione con maggiori capacità di scala.

Tra i potenziali effetti indesiderati, l’offerta di prodotti potrebbe vedersi semplificata e appiattita, con una tendenza alla standardizzazione e alla gestione passiva.