I risparmiatori italiani hanno più liquidità (ma meno capacità di risparmio)

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Paul Skorupskas, Unsplash

Aumenta la liquidità nei conti correnti, ma questo non si traduce in una parallela crescita del risparmio. Tuttavia, nonostante la pandemia abbia avuto un impatto rilevante sulla vita degli italiani, il 2021 ha visto una ripresa della fiducia sia nelle banche (si colloca, anzi ai massimi) sia sulle aspettative di reddito nei prossimi mesi. Sono alcune tra le evidenze emerse nella ricerca sul risparmio e sulle scelte finanziarie degli italiani 2021 condotta da Intesa Sanpaolo e Centro Einaudi tra marzo e maggio 2021.

Più liquidità non significa più risparmiatori

Nel dettaglio, la liquidità nei conti correnti aumenta di 110 miliardi, mentre la quota dei risparmiatori passa dal precedente 55,1 al 48,6 per cento. In questo scenario aumenta però di 6,7 punti la quota del risparmio involontario (appunto come effetto della maggiore liquidità), dato che accentua la disomogeneità nella capacità di risparmio delle famiglie.  In particolare, i ricercatori hanno rilevato un rallentamento degli investimenti finanziari legato all’incertezza pandemica, da un lato, e dalla difficoltà di trovare investimenti corrispondenti agli obiettivi dei risparmiatori dall’altro. Tuttavia, tra le famiglie che hanno accumulato un eccesso di liquidità si evidenziano due tendenze: il 64% propende per il “trattenere” il capitale, mentre il restante 36% (in particolare giovani, laureati e appartenenti al ceto medio-alto per reddito) punta a rilanciare i consumi.  

Sicurezza e liquidità

Il tema degli obiettivi di risparmio si traduce, nel breve periodo, nella ricerca di una maggiore liquidità (proprio per fare fronte agli imprevisti) e nel lungo alla sicurezza (del capitale investito). A farne le spese sono soprattutto gli investimenti in obbligazioni, su cui si indirizza il 22% del campione contro un massimo storico del 29%; mentre soltanto il 6,1% del campione investe in azioni. Nel confronto tra soddisfatti e insoddisfatti sono 3,8 gli obbligazionisti soddisfatti per ogni insoddisfatto, mentre la forbice si allarga a cinque a uno tra quanti puntano sull’equity.

La rivincita del gestito

L’indice di soddisfazione maggiore di tutte le classi di investimento va, però, al risparmio gestito (il rapporto tra soddisfatti e insoddisfatti è di sei a uno). Fondi e risparmio gestito durante la crisi della pandemia hanno fatto registrare investimenti netti da parte dei sottoscrittori. Sui fondi, nel tempo, sono mutati i giudizi: non sono più percepiti come prodotti speculativi, adatti a chi ha buone risorse da investire; adesso per la maggioranza del campione sono prodotti caratterizzati dalla competenza, dalla diversificazione che controlla il rischio e, soprattutto, sono adatti anche ai piccoli risparmiatori.

Alternativi e ESG, un approccio ancora “timido”

Nonostante una maggiore consapevolezza sul tema, gli investimenti nuovi e alternativi sono ancora indietro nelle scelte dei risparmiatori italiani. Emerge come soltanto il 2,5% del campione intervistato abbia “considerato” l’investimento in economia reale tramite i PIR, tuttavia per ogni sottoscrittore effettivo ce ne sono sei “indecisi” che potrebbero scegliere questo investimento in futuro. Soltanto il 5%, invece, i risparmiatori “affascinati” dalle criptovalute (bitcoin in testa).

Il 6,7% del campione (ma il 14% tra chi ha un titolo di studio superiore alla laurea) si dichiara interessato agli investimenti etici e a impatto positivo sull’ambiente e sulla società. Tuttavia, essendo di tipo nuovo, il comportamento classico dei risparmiatori italiani è di introdurre nel portafoglio questi investimenti “a piccole dosi”.

Pensioni ancora indietro 2° e 3° pilastro

L’analisi rileva una ricchezza pensionistica privata ancora bassa: il 12,6% appena dei lavoratori dichiara di avere sottoscritto un trattamento pensionistico integrativo e un terzo l’ha fatto con il TFR. La scarsa diffusione del secondo pilastro e la diffusione del terzo pilastro privato individuale soprattutto tra i più abbienti è frutto della limitata capacità di pianificare lungo tutto l’arco della vita, per motivi anche legati alla nota scarsa istruzione finanziaria dei risparmiatori. Il 70% dei lavoratori ignora il 2° pilastro, e per la maggior parte non viene sottoscritto perché non si intende delegare l’investimento di altre quote di retribuzione indiretta oltre alla quota (considerata alta) dei contributi obbligatori e del TFR.

Ottimisti vs pessimisti e fiducia nelle banche

Sul fronte ottimisti-pessimisti emerge un miglioramento sui saldi delle aspettative tra la prima rilevazione (marzo) e la seconda (maggio), in piena campagna vaccinale. Il saldo ottimisti-pessimisti sulle aspettative di reddito a 12-18 mesi delle famiglie è passato, in pochi mesi, da -16 a -2,6%, portandosi quasi in pari; quello sul risparmio è passato da -34 a -24%; quello sulle imposte, ossia sul costo dell’aggiustamento del bilancio pubblico, è passato da –27 a –3 per cento. In sostanza, seguendo quest’ultima aspettativa, le famiglie considerano possibile che si avveri ciò che l’Unione Europea e il Governo italiano si propongono attuando il PNRR: che la ripresa macroeconomica e del PIL si consolidi e diventi strutturale, tanto che non risulterà necessario aumentare le tasse poiché sarà la crescita del PIL a permettere l’aggiustamento del rapporto debito/PIL.

Di pari passo la fiducia nelle banche e nelle istituzioni. Le prime ai massimi storici di 18 a 1 (ben al di sopra del tasso ottenuto dai singoli strumenti di investimento). Mentre il saldo tra la quota di intervistati che hanno fiducia nell’Unione europea rispetto a coloro che non ce l’hanno è del 46%, un balzo considerevole dal 26% del 2020.