Nel 2022 il sistema previdenziale italiano si conferma ancora “sostenibile”

Covip News
Ajeet Mestry (Unsplash)

Un sistema che si conferma ancora in equilibrio, e tuttavia esposto alle incognite derivanti da una serie di elementi: come le “troppe eccezioni alla riforma Monti-Fornero” e “l’eccessiva commistione tra previdenza e assistenza”. Sono dati in chiaro scuro quelli presentati dal Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali lo scorso 16 gennaio presso la Sala Stampa della Camera dei Deputati a Roma, nell’undicesimo rapporto “Il Bilancio del Sistema Previdenziale italiano. Andamenti finanziari e demografici delle pensioni e dell’assistenza per l’anno 2022”, ma che seguono un percorso lineare nel tempo (vedi i dati sul 2021) e certificano la presenza di un sistema pensionistico ancora sostenibile.

Gli analisti sottolineano alcuni indicatori “utili a valutare la sostenibilità della previdenza pubblica italiana”, in primis l’aumento del numero di pensionati, che salgono da circa 16 milioni (16,099) del 2021 a 16,131 milioni del 2022 (+32.666 unità); prosegue al tempo stesso (e dopo la crisi del Covid) la risalita del tasso di occupazione italiano, che si attesta al 60,1%; per cui risale a quota 1,4443, il rapporto occupati e pensionati, “in miglioramento ma ancora distante dai valori pre-pandemici (1,4578)”, e ancora lontano dall’1,5, indicato come la “soglia della semi-sicurezza”. 

Il dettaglio su pensionati e prestazioni

Come anticipato, i percettori di assegno pensionistico in Italia sono 16.131.414 nel 2022, a fronte dei 16.098.748 del 2021 e dei 16.004.503 del 2018, “anno in cui si era toccato il valore più basso di sempre”, scrive il centro studi. A spingere sull’aumento “le molteplici vie d’uscita in deroga alla Fornero introdotte dal 2014 in poi e culminate negli ultimi anni con l’approvazione dapprima di Quota 100 nel 2019 e, quindi a seguire, di Quota 102”. In crescita anche il “tasso di pensionamento grezzo”: su 3,65 residenti italiani almeno uno è pensionato. Dei quasi 33 mila pensionati in più rispetto al 2021, gli uomini rappresentano la stragrande maggioranza: 27.136 unità contro 5.530 donne, ma queste ultime erano aumentate di oltre 20mila unità tra il 2020 e il 2021 e pur con un dato in calo nell’anno, continuano a rappresentare il 51,7% della platea dei pensionati italiani (tra l’altro destinatarie dell’87% del totale delle pensioni di reversibilità). 

Sul fronte prestazioni, nel 2022 risultano in pagamento 22.772.004, +0,06% rispetto al 2021, pari a 13.207 trattamenti. Nel dettaglio, si tratta di 17.710.006 prestazioni erogate nella tipologia IVS, cui vanno aggiunte 4.420.837 pensioni assistenziali INPS e 641.161 prestazioni indennitarie dell’INAIL. Ciononostante, in media, ogni pensionato riceve 1,411 prestazioni, il livello più basso dal 2006.

Rapporto attivi/pensionati

Prosegue intanto la crescita del tasso di occupazione dopo il brusco calo imputabile alla pandemia e si attesta nel 2022 a 23.298.000 unità. Cala anche il ricorso alla Cassa Integrazione nelle sue varie forme: nel 2022 i beneficiari sono stati 865.463 (erano stati oltre 7 milioni nel 2020), per una spesa complessiva di circa 2 miliardi. Situazione analoga per gli altri ammortizzatori sociali, per una spesa totale di circa 13,2 miliardi. Nonostante questo andamento positivo, l’Italia resta tra le nazioni peggiori in Europa sul fronte occupazionale. Secondo i dati Eurostat riferiti al terzo trimestre 2023, il nostro Paese è infatti all’ultimo posto per occupazione globale, distante di quasi 10 punti percentuali dalla media europea (61,4% contro 70,4%); per occupazione femminile (52,5% contro il 65,7% della media europea); per occupazione giovanile (15-24 anni), dove è quartultima tra i 27 Paesi UE (20,1% contro una media del 35,2%). Solo poco meglio l’occupazione senior (persone tra i 55 e i 64 anni), dove l’Italia tocca il 58% contro il 64,3%della media UE. 

Fonte: Undicesimo Rapporto sul Bilancio del Sistema Previdenziale italiano, Itinerari Previdenziali

Da qui un rapporto attivi/pensionati che si attesta, come detto, a 1,4443. Resta dunque piuttosto distante quell’1,5 come soglia minima necessaria per la stabilità di medio-lungo termine della nostra previdenza obbligatoria. Certo è che le previsioni per gli anni a venire sono di un lento ma progressivo miglioramento, “sempre che si riescano a tenere sotto controllo gli effetti su materie prime ed energia di scenari geopolitici incerti e a patto di investire in politiche attive per il lavoro e politiche industriali che sappiano, rispettivamente, arginare il fenomeno del mistmach tra domanda e offerta e rilanciare la stagnante produttività del Paese capitalizzando le risorse del PNRR. Il tutto riducendo il numero delle uscite anticipate per garantire sostenibilità anche ai più giovani, nell’ambito di quel patto intergenerazionale insito in un sistema che vede appunto le pensioni di quanti sono già in quiescenza pagate con i contributi versati dai lavoratori attivi”, si legge nell'analisi degli esperti. 

Un equilibrio precario

“A oggi il sistema è sostenibile e lo sarà anche tra 10-15 anni, nel 2035/40, quando la maggior parte dei baby boomer nati dal Dopoguerra al 1980 (in termini previdenziali assai significative data la loro numerosità) si saranno pensionate», spiega il presidente del Centro Studi Alberto Brambilla.

Perché il sistema resti in equilibrio, prosegue il presidente, “sarà indispensabile intervenire in maniera stabile e duratura, tenendo conto di alcuni principi fondamentali”, che vanno a riguardare, in primis, le età di pensionamento, “attualmente tra le più basse d’Europa – afferma Brambilla – (circa 63 anni l’età effettiva di uscita dal lavoro in Italia nonostante un’aspettativa di vita tra le più elevate a livello mondiale), e che dovranno dunque gradualmente aumentare evitando il ricorso a eccessive anticipazioni”. Segue il tema dell’invecchiamento attivo dei lavoratori, “attraverso misure volte a favorire un’adeguata permanenza sul lavoro delle fasce più senior della popolazione” e quello delle politiche attive del lavoro, “da realizzare di pari passo con un’intensificazione della formazione professionale, anche on the job”. A questi elementi si associa poi la prevenzione, “intesa in senso più ampio come capacità di progettare una vecchiaia in buona salute”.