Value vs growth, una battaglia ancora avvincente?

Nicolas Walewski notizia
Nicolas Walewski, foto ceduta (Alken)

CONTRIBUTO a cura di Nicolas Walewski, founder & fund manager, Alken Asset Management. Contenuto sponsorizzato.

La rotazione dallo stile growth al value, attesa da lungo tempo, a mio avviso è appena iniziata. L'IPC negli Stati Uniti ha toccato i massimi a marzo, ma ad aprile è sceso meno del previsto e tutto sembra indicare che nei prossimi mesi avremo uno scenario simile. Il rialzo dell’inflazione avviato per i beni di consumo è passato ai servizi e tutto lascia presagire ulteriori rialzi dei tassi. Alcuni sostengono che gli Stati Uniti si stiano avviando verso una recessione, non ora ma tra 18 mesi, mentre il tasso di risparmio rimane elevato, i livelli di indebitamento ragionevoli e le stime sugli utili continuano a salire.

Tutti questi sono dati che mi piace avere e che supportano la mia visione macro, ma per me la maggiore fonte di creazione di Alfa deriva dall'esame della valutazione di ciascuna società e dei suoi fondamentali, oltre che dalla scommessa sul punto di svolta da uno stile all'altro. Guardando al passato, ho visto a lungo un riscaldamento insensato sulle società i cui modelli di business non giustificavano tassi di crescita così elevati a lungo. L'ascesa degli ETF, la scommessa sui fondi tematici, persino la salita degli ESG (chiaramente inflazionistici) sostenuta da politiche monetarie accomodanti, hanno favorito la formazione di alcune bolle sul mercato e, a mio avviso, era solo questione di tempo prima che scoppiassero.

Value e growth, un passo indietro

D'altra parte, guardando alla storia, dal XX secolo ci sono stati solo due cicli in cui il growth ha battuto il value. Uno negli anni Trenta, dopo la Grande Depressione, e il secondo nell'ultimo decennio fino al 2020/2021. Pertanto, nel corso della storia, da quando abbiamo dati disponibili, i periodi in cui il value come stile si è distinto dal growth sono stati più lunghi, contrariamente a quanto molti pensano. Se consideriamo che l'età media di una gestione patrimoniale oggi è tra i 40 e i 45 anni, potremmo concludere che pochi investitori hanno navigato in un ambiente in cui il value si è comportato meglio del growth; il che spesso ha portato molti investitori a ignorare il prezzo come fattore vitale per gli investimenti.

Dobbiamo anche tenere conto degli ultimi dati sull'occupazione, sia negli Stati Uniti che in Europa (in misura minore) e, sotto questo aspetto, il basso livello di disoccupazione è uno dei fattori chiave da tenere in considerazione. I dati indicano che negli Stati Uniti si registrano livelli di disoccupazione storicamente bassi. Lo stesso, anche se in misura minore, in Europa. L'attuale configurazione della mappa occupazionale fa sì che questa circostanza non sembri destinata a cambiare nel medio termine.

Pertanto, con alti tassi di risparmio e occupazione ai massimi storici, il consumatore dispone di un livello di liquidità molto elevato, un aspetto che si riflette nella forza delle vendite al dettaglio, soprattutto negli Stati Uniti (anche in Europa, sebbene in misura minore). Anche se nel breve periodo abbiamo assistito a un piccolo rallentamento dei dati sulle vendite di aprile, la tendenza su base annua continua a crescere. I dati sull'inflazione che continuano a salire per entrambe le sponde dell'oceano e i conseguenti aumenti dei tassi che il mercato sconta hanno provocato una correzione del mercato azionario. In altre parole, gli investitori hanno scelto di aumentare il loro livello di liquidità e non tanto di orientare i loro portafogli verso il value, o almeno non ancora.

Variabili difficilmente prevedibili

Alla luce di questo scenario, ci si chiede da dove possano arrivare le sorprese. Siamo di fronte a un mercato influenzato da numerose variabili difficilmente prevedibili, quindi, quello che cerchiamo di fare è avere un portafoglio resiliente in questo ambiente, che si difenda da un contesto inflazionistico, di rialzo dei tassi, e che dovrebbe interessare molte società e titoli value che per ora non scontano questo scenario. Le valutazioni attuali e l'evoluzione delle stime degli utili mi suggeriscono che i titoli growth che hanno avuto una corsa spettacolare nell'ultimo decennio soffriranno parecchio in un contesto come quello attuale e come quello che ci attende.

Penso che le sorprese negative arriveranno dal lato dei beni strumentali, da alcuni settori industriali, dai consumi discrezionali che hanno difficoltà a estrapolare gli aumenti di prezzo al cliente finale, dalle società tecnologiche non ancora redditizie e con modelli di business da sviluppare, dal segmento deluxe. Tra gli elementi positivi, invece, includo le aziende esposte alla riapertura post-COVID, come alcune società di hotel, viaggi, trasporti e tempo libero. Abbiamo visto che questo tipo di attività comincia a riemergere e le valutazioni continuano a essere in ribasso.

In termini generali potremmo classificare il consumatore come avente un potere d'acquisto alto o medio-basso. A mio avviso, il ritiro della liquidità dal sistema ha un impatto maggiore in termini relativi sui consumatori ad alto potere d’acquisto, a causa del deprezzamento del valore dei loro beni reali e del maggiore impatto sui loro portafogli finanziari. È chiaro che questi non cambieranno drasticamente le loro abitudini, ma vedranno il loro patrimonio ridursi notevolmente. Inoltre, gli aumenti salariali dovuti alla carenza di manodopera si stanno verificando in segmenti della popolazione con potere d'acquisto medio-basso. E sappiamo tutti che alla fine i consumi vanno di pari passo con l'evoluzione dei salari. Non esistono due crisi uguali e penso davvero che in questa occasione i ricchi sentiranno probabilmente di più l'impatto di questa particolare crisi, sempre parlando in termini relativi.

Con tutto ciò e nonostante il buon comportamento di settori come le materie prime o l'energia, considerando il livello degli investimenti in questi settori nell'ultimo decennio, la proiezione degli investimenti futuri, le cui stime continuano a essere basse, l'accumulo di domanda post-pandemia e il tempo necessario per avviare nuovi impianti di produzione, sembra quindi ovvio pensare che l'offerta sarà scarsa e che la pressione sui prezzi continuerà a essere al rialzo.

Energia pulita, un percorso ancora lungo

Per anni il mercato ha fantasticato sulla volontà di sostituire le fonti energetiche tradizionali con altre più pulite. Nonostante i passi importanti che il settore ha compiuto in questa direzione, la verità è che nel breve e medio termine continueremo ad avere bisogno di utilizzare le energie tradizionali. Questo non cambierà nel medio termine e la capacità attuale suggerisce che l'offerta non sarà in grado di coprire la domanda attuale e futura.

Inoltre, trovo interessante osservare ad esempio i grafici che illustrano l'evoluzione del prezzo del Brent e quello delle società energetiche dell'MSCI. C'è un notevole divario che potrebbe essere spiegato da diverse ragioni (ad esempio il fattore ESG), ma la verità è che lo spread nel medio termine tenderà a ridursi e che il prezzo dell'MSCI Europe Energy probabilmente continuerà il suo trend al rialzo.

In conclusione vorrei sottolineare che sono certo che in un contesto come quello attuale il mercato premierà la selezione dei titoli, proprio come ha fatto dall'inizio dell'anno. In questo contesto di incertezza, in cui pesa lo spettro dell'inflazione, ci sarà una maggiore dispersione tra le società che sapranno gestire meglio o peggio questo scenario, e questo di per sé si presenta come un vantaggio per i gestori orientati sui fondamentali.